MILANO
Omicidio Aloisio. La difesa del boss: «Il pentito mente»
L’arringa in Corte d’Appello dell’avvocato di Vincenzo Rispoli, condannato in primo grado all’ergastolo. «Non credete a De Castro»

Oltre due ore di arringa appassionata, quella effettuata oggi, mercoledì 5 aprile, davanti ai giudici della Corte d’Assise d’Appello di Milano, da parte dell’avvocato Roberto D’Agostino per dimostrare «l’inaffidabilità dei collaboratori di giustizia» che hanno accusato il suo assistito, Vincenzo Rispoli, dell’omicidio di Cataldo Aloisio, il trentaquattrenne imprenditore edile originario di Cirò Marina il cui cadavere fu rinvenuto la mattina del 27 settembre del 2008 nei pressi del cimitero di San Giorgio su Legnano.
Nel mirino del difensore di lunga data di Rispoli sono finite soprattutto le dichiarazioni del pentito Emanuele De Castro. Che cosa ha detto l’ex braccio destro del boss della cosca dei cirotani di Legnano e Lonate Pozzolo? Ha dichiarato di aver ricevuto direttamente dal capo-locale la confidenza che era stato lui ad uccidere Aloisio quando De Castro si trovava a Palermo.
«Ma come si fa a credere a De Castro? La Corte d’Assise a Busto ha condannato all’ergastolo Rispoli sulla scorta delle parole di De Castro, senza prendere in considerazione il fatto che proprio De Castro nutriva nei confronti del “capo” motivi di grande rancore. Guarda caso ha deciso di tirare fuori la storia del delitto di Aloisio dopo che gli è stata notificata l’ordinanza dell’operazione Krimisa in cui è emerso in modo chiaro e incontrovertibile che all’interno della cosca di Legnano e Lonate Pozzolo c’era chi lo voleva eliminare», ha attaccato l’avvocato D’Agostino.
«Ai tempi delle inchieste Bad Boys e Infinito lui, Rispoli e tutti gli altri erano intercettati e parlavano di tutto e di più, di bacinella, di estorsioni, di gravi fatti di sangue, dell’omicidio Novella, e per questo si sono fatti quasi tutti 10 anni di galera. Curiosamente, malgrado intercettazioni a tappeto, non c’è mai stato un riferimento, nemmeno alla lontana, all’omicidio di Aloisio... ».
E ancora, il legale: «De Castro non solo dice di aver avuto lui, in quanto azionista della cosca, l’incarico direttamente da Silvio Farao e Cataldo Marincola di uccidere il genero di Giuseppe Farao, ma sostiene che, nella primavera precedente al delitto, avrebbe anche partecipato a due agguati contro Aloisio, entrambi falliti», ha insistito il difensore. «Ma lui in quel periodo in Calabria non c’è mai stato. Lo hanno confermato i carabinieri e gli accertamenti sulle celle telefoniche. Non è mai sceso sotto Roma. Stesso discorso per Vincenzo Rispoli, che non si è mai mosso da Legnano».
Infine, capitolo arma: «De Castro ha dichiarato che Rispoli (presente all’udienza da remonto, nello specifico da una saletta del carcere di L’Aquila, dove si trova detenuto in regime di 41 bis) si era detto preoccupato che ci fossero le sue impronte sull’arma utilizzata per il delitto e subito lanciata in un campo non lontano e per questo sarebbe andato subito a prenderla per farla sparire non appena atterrato a Malpensa il giorno dopo l’omicidio. Peccato che le celle telefoniche aggancino il suo cellulare solo il primo di ottobre, a cinque giorni di distanza dal delitto», ha rimarcato l’avvocato D’Agostino.
E a proposito di impronte: «Ne hanno trovate tantissime sull’accendino, sulle chiavi e sul pacchetto di sigarette sporco di sangue trovato sul corpo della vittima, ma non si è mai saputo a chi appartengono. Di sicuro non a Rispoli. Eppure, è presumibile che siano di coloro che hanno spostato il corpo della vittima dopo lo sparo avvenuto a bruciapelo in macchina, no?».
Il processo d’appello proseguirà il prossimo 5 maggio.
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