IL CREATIVO
La mia firma sulla PepsiCo
Un libro sui primi 5 anni di Mauro Porcini alla guida del design nella multinazionale

«E pensare che vengo dalle Bustecche e sono cresciuto in una famiglia bellissima ma normale. Non smetto di meravigliarmi se penso a tutto quello che ho conquistato. E non parlo solo di beni materiali».
Non ha perso la semplicità, il suo essere fanciullino, come ama dire, Mauro Porcini, 43 anni, nell’Olimpo del design internazionale. C’è questo creativo varesino dietro la rivoluzione di immagine e sostanza in PepsiCo: il gigante del food&beverage, 67 miliardi di fatturato, 3mila brand coperti (dalla bibita gassata a Gatorade, da Lipton a 7Up alle patatine Lay’s) e 260mila dipendenti, continua la sua crescita anche grazie alle intuizioni di Porcini, Chief Designer Officer (il capo del settore, insomma, posizione creata proprio per il suo ingresso nel 2012) e senior vicepresident, ormai in pianta stabile a New York quando non fa il giramondo per incontri e dibattiti.
Una parabola di successo raccontata nel volume “Design and innovation, 2012-2017”: la storia di come un approccio tutto italiano abbia cambiato la pelle a una multinazionale a stelle e strisce con ramificazioni nella moda, nel costume e nello sport. Questo primo lustro ha visto la sua firma su circa un migliaio fra prodotti e progetti nuovi, circa 200 all’anno.
Il tutto come braccio destro del numero uno Indra Nooyi, la manager indiana considerata fra le donne più influenti al mondo, primo Ceo in rosa della storia di PepsiCo che ha ceduto il timone pur restando presidente del Cda.
C’è la sua visione nell’investimento massiccio nel design che ha permesso di creare un nuovo team con 200 creativi e sedi in tutto il mondo.
Un sodalizio vincente, quello fra la manager-star e questo varesino d’esportazione molto attivo sui social e diventato anche un icona di stile.
«Non è facile conquistare la fiducia degli americani, poi però vige la meritocrazia vera: se vali vai avanti, se fallisci cadi velocemente - racconta Mauro Porcini -. Avrei potuto atterrare come un alieno, emblema di un vecchio modo di intendere il made in Italy, forse affascinante: ma oggi non ha più senso pensare di avere qualcosa di diverso nel Dna. Certo, nasciamo e cresciamo nella bellezza, ma poi dobbiamo anche saperla produrre e farla fruttare».
Porcini incarna proprio questa doppia anima, l’italian style e l’intuito anglosassone: «Ho avuto la fortuna di lavorare subito in aziende internazionali - prosegue -. L’America ama le innovazioni che devono però trovare una strada produttiva. E odia i favoritismi, le clientele. Ci sono ogni anno corsi specifici per evitare il conflitto d’interessi e certificare la trasparenza della società. Io adoro l’Italia, ma ha molti difetti: il pessimismo endemico, la percezione di stare sempre peggio per colpa altrui. E anche la gelosia, l’invidia verso chi ha successo».
Eppure ci sono anche tanti lati positivi: «L’arte di arrangiarsi e risolvere problemi con poche risorse. Il turismo, l’enogastronomia, la nostra cultura, la creatività, la letteratura e la filosofia, l’intero brand Italia. Solo che tutte queste qualità che apprendiamo quasi per osmosi vanno aggiornate, non possiamo dormire sugli allori di un passato glorioso. Oggi la microimpresa non regge più, magari il mio prodotto viene realizzato in Cina, pensato da un designer in Danimarca e venduto ovunque».
Porcini è un fiume in piena, un uomo con una visione ottimistica ma non impossibile, che parla di nuovo Rinascimento con la persona al centro: «Questo è il design, fare qualcosa che serva e piaccia alla gente. Arrivare a tutti, senza steccati e mediazioni. Siamo nell’era dell’eccellenza e questo sarà il titolo del mio prossimo libro. La mediocrità sarà bandita, altrimenti ci sarà sempre uno più bravo di noi a creare prodotti. La concorrenza aiuterà questo processo: ecco perché bisogna premiare i migliori, circondarsi delle menti più elevate senza temere che ci rubino il posto, puntare alle massime professionalità senza paura di licenziare. Il bello del capitalismo è che se hai un’idea vincente puoi farcela».
Un paradigma che Porcini incarna anche nelle amicizie: Fabio Volo, Claudio Cecchetto (con cui partì fondando un’azienda da giovanissimo prima di passare a 3M e Philips), Jovanotti, il designer Fabio Novembre, Giuliano Sangiorgi dei Negramaro.
«Tutte persone buone e illuminanti dal punto di vista intellettuale. Anche questo mi meraviglia: e pensare che giravo su una Panda e vivevo in una casetta mentre ora ho una Ferrari e una villa agli Hamptons. Ma attenzione, io non ho mai sognato di fare i soldi. A chi mi chiede come si arriva al successo, dico sempre che bisogna avere un sogno. Ero un liceale (allo scientifico “Ferraris” di Varese, dove ha studiato prima del Politecnico di Milano e già brillava per voti e concorsi vinti, anche alla Normale di Pisa, Ndr) e sognavo di essere ricordato su un trafiletto di un libro per aver fatto qualcosa di straordinario».
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