GIUDIZIO D’APPELLO
Processo Uva, l’ora del verdetto
Attesa, il 31 maggio, la sentenza di secondo grado. Dure critiche delle difese al sostituto procuratore generale

Domani, 31 maggio, la camera di consiglio e quindi la sentenza, in Corte d’Assise d’appello, al processo per la morte di Giuseppe Uva. Oggi, 30 maggio, la conclusione delle arringhe dei difensori dei sei imputati. «Varese sarà pure la periferia dell’impero, ma la mia città e il suo tribunale non sono una zona franca per lo stato di diritto. La legge è stata pienamente applicata a Varese anche nella vicenda processuale legata alla morte del povero Giuseppe Uva. Il pm Abate succube delle forze dell’ordine? I suoi accertamenti hanno sempre mirato alla verità, il resto sono critiche fine a se stesse. La messa in discussione della professionalità del procuratore capo di Varese Daniela Borgonovo? No, io non ci sto»: così l’avvocato Luca Marsico, difendendo carabinieri e poliziotti che «altro non fecero», quella notte a Biumo del giugno di quasi 10 anni, «se non onorare la divisa». E sono arrivate anche dure critiche al sostituto procuratore generale di Milano Massimo Gaballo, il rappresentante dell’accusa che ha chiesto condanne per più di 67 anni di carcere a carico dei sei imputati. Prima di Marsico, anche Ignazio La Russa, il senatore di Fratelli d’Italia chiamato in corsa ad associarsi Piero Porciani nella difesa dell’ispettore di polizia Pierfrancesco Colucci, ha avuto parole severe. «Il sostituto procuratore generale è stato costretto a creare uno scenario con argomenti che non ho quasi mai trovato nei processi. Ha avuto il coraggio di arrivare a denigrare tutti i pm che hanno operato in questo processo, per solo fatto che hanno escluso responsabilità da parte di carabinieri e poliziotti». Infine, sul presunto movente riferito da Alberto Biggiogero («del tutto inattendibile», a suo dire), La Russa ha tagliato corto: «L’ipotesi di una relazione tra Uva e la moglie di un carabiniere non può reggere perché manca la prova». Dura anche l’arringa dell’avvocato Fabio Schembri: «Quando si parla di insabbiamenti delle indagini e si fanno accuse infamanti. Ora è venuto il momento di restituire la dignità agli imputati».
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