L’INDAGINE
Prostitute schiave: tre nei guai
Sfruttavano due donne in una casa di via Oslavia: imprenditore gallaratese arrestato, la sua compagna entraîneuse ai domiciliari e un’altra lucciola con l’obbligo di dimora

Un imprenditore commerciale gallaratese, la sua compagna rumena, ex prostituta di 35 anni, madre di una neonata, e un’altra entraîneuse di 42 anni, sono stati denunciati dai poliziotti del Commissariato di Gallarate.
I tre avevano infatti costituito un sodalizio criminale cui la Procura della Repubblica di Busto Arsizio imputa i reati di riduzione in schiavitù finalizzata alla prostituzione, nonché di esercizio di “casa” di prostituzione, reclutamento, induzione e sfruttamento della prostituzione (aggravato dalle minacce e dalla pluralità delle vittime), in danno di due donne di nazionalità rumena, tra cui una trentanovenne e una appena diciottenne all’epoca dei fatti.
In carcere è finito il quarantenne, perché la compagna dell’imprenditore ha avuto i benefici dei domiciliari in quanto deve attendere ai bisogni della piccola. Meno grave la posizione della quarantaduenne, che per ora ha solo l’obbligo di dimora nel Comune di residenza.
Il luogo destinato alla prostituzione si trovava in via Oslavia, in un anonimo appartamento con bagnetto, esteriormente poco appariscente e ufficialmente adibito a studio professionale; a procurarselo, con regolare contratto di affitto a proprio nome, era stato il quarantenne.
LA CASA DEL PIACERE
Secondo quanto riscostruito dagli inquirenti, a procurare i clienti alle due prostitute rumene erano il gallaratese oppure le due donne, anche grazie ad annunci pubblicati su siti internet e su un quotidiano locale: a confermarlo sono stati alcuni dei clienti stessi, ma soprattutto il ritrovamento delle schede telefoniche corrispondenti ai numeri indicati negli annunci e utilizzati per fissare gli appuntamenti.
Quando il cliente raggiungeva la “casa” era poi accolto da una delle indagate, che si occupava di definire la prestazione e di riscuoterne il prezzo, prima di essere da queste accompagnato in un separato locale alla presenza delle due prostitute, che venivano istruite su tipo e durata di prestazione da offrire, e con cui poi consumava il rapporto: quasi sempre massaggi intimi o rapporti incompleti, per prezzi oscillanti tra i 100 edi 200 euro. Per gli inquirenti a riprova del pieno asservimento all’organizzazione della “casa” è importante sottolineare che le due donne indotte a prostituirsi non si procacciavano personalmente i clienti, non concordavano con loro i prezzi né ricevevano il denaro, ma dovevano invece attentamente osservare quanto veniva loro richiesto dalle due “maitresse”.
Tra i clienti, di varia estrazione sociale, la maggior parte è risultata provenire dalla provincia di Varese, tranne alcuni professionisti di passaggio per motivi di lavoro, il che dimostra evidentemente una certa notorietà della “casa”.
OTTO MESI D’INDAGINE
L’indagine ha preso le mosse la sera del 18 gennaio scorso, allorché dal Commissariato di polizia di Sulmona era stata tempestivamente trasmessa la preoccupante segnalazione della sorella della diciottenne, là residente da tempo, che denunciava di avere perso i contatti con la congiunta, e di temere ormai che fosse stata costretta a prostituirsi da una connazionale che l’aveva convinta mesi prima a seguirla a Gallarate per trovare un impiego.
Sulla base delle informazioni comunicate dai colleghi abruzzesi, gli agenti del Commissariato di Gallarate la sera stessa hanno individuato l’abitazione dei due arrestati nel quartiere Caiello, dove effettivamente hanno rintracciato la giovane, che ha così potuto finalmente confidarsi e denunciare a sua volta la situazione di cui era vittima, prima di essere affidata a una struttura protetta.
RECLUTATA IN ROMANIA
Ha così raccontato che nel mese di settembre del 2015 aveva accettato la proposta di lavoro della connazionale trentacinquenne, incontrata e conosciuta nella stessa città (che si trova nella zona orientale della Romania, in una delle regioni più povere del paese) dove abita e da dove proviene anche l’arrestata, che là si trovava durante un breve rientro in madrepatria.
La proposta, come spesso accade, era piuttosto generica ma utile a costruirsi una vita economicamente migliore di quella che le si prospettava, e la diciottenne l’aveva dunque accettata preparandosi a partire immediatamente in compagnia della compaesana e del suo insospettabile compagno italiano.
Già durante il lungo viaggio in auto verso l’Italia, però, entrambi avevano cominciato a prospettarle la realtà, e cioè che avrebbe dovuto lavorare in un centro massaggi per uomini, sia pure senza accennare al meretricio in senso stretto, e che avrebbe dovuto impegnarsi a fondo in quanto tutte le spese del viaggio e della sua permanenza in Italia sarebbero stati anticipati da loro, e dunque lei era già in debito economico (esattamente per 1.000 euro) nei loro confronti e avrebbe dovuto onorarlo lavorando (oltre che collaborando ai lavori domestici); per evitare che potesse tornare in Romania l’italiano si era inoltre fatto consegnare il suo passaporto.
Giunta a Gallarate, al diciottenne era stata costretta a non allontanarsi mai dalla casa da sola, guardata a vista senza sosta e senza possibilità di contattare i familiari se non alla presenza dei suoi sfruttatori, chiaramente irretita dal riferire loro la verità; per dormire doveva accontentarsi di una poltrona e se si lamentava veniva offesa e percossa, in quanto la scomoda sistemazione era parte del debito che aveva contratto.
SERVA IN CASA, SCHIAVA AL LAVORO
Inizialmente le era stato imposto di fare le pulizie di casa e di cucinare, dovendo perfino svegliare la coppia col caffè a letto, ma ben presto le era stato prospettato con chiarezza il suo destino di prostituta; condotta con sempre maggiore frequenza nell’appartamento di via Oslavia, la giovane aveva così iniziato a prostituirsi sotto il ferreo controllo delle due indagate rumene, che si erano anche occupate di una specie di ”addestramento” iniziale oltre che di fornirle lingerie, parrucche e trucchi.
Sfruttata, oppressa e spaventata dalla situazione, aveva invano tentato di convincere i suoi sfruttatori, specialmente la coppia dei suoi reclutatori, a lasciarla andare, ma era stata da loro minacciata, anche di morte; in particolare ha raccontato che in più occasioni l’italiano le aveva mostrato una pistola che aveva in casa, completa di cartucce, e una volta, per spaventarla ancora di più, aveva anche sparato in aria nel giardino. L’arma, poi rivelatasi una replica a salve, è stata poi effettivamente trovata e sequestrata dai poliziotti.
Solo dopo quattro mesi la giovane è riuscita a contattare telefonicamente la sorella, approfittando di una distrazione dei suoi aguzzini, dando così l’allarme.
SEXY-TOY TRA LE PROVE
Immediatamente gli agenti del Commissariato hanno sequestrato l’appartamento e identificato sia gli sfruttatori sia le due donne vittime, oltre a un cospicuo numero di clienti, che nei giorni successivi tra molti imbarazzi, hanno raccontato dei loro incontri mercenari; nel corso delle perquisizioni, oltre alla pistola giocattolo con le cartucce a salve, sono stati rinvenuti abiti succinti, un sex-toy ed altri oggetti ed effetti personali impiegati nell’attività di meretricio.
Sono stati anche sequestrati telefoni cellulari e schede telefoniche, da cui sono state estrapolate immagini fotografiche che immortalavano gli indagati e le vittime in circostanze inequivocabili, e con cui in seguito sono stati ricostruiti i contatti telefonici tra gli sfruttatori e i clienti, nonché un gran numero di fogli manoscritti contenenti gli annunci pubblicitari oltre a una elementare ma chiarissima “contabilità”, con tanto di nomi e numeri telefonici di alcuni clienti associati al prezzo da loro pagato, così riscontrando e corroborando perfettamente la denuncia della diciottenne.
UNA SFILZA DI ACCUSE
Per l’italiano e la sua compagna rumena, organizzatori della “casa” e lucratori dei suoi proventi, ma soprattutto autori del gravissimo abuso e sfruttamento della diciottenne, l’Autorità giudiziaria di Busto Arsizio ha contestato il più grave delitto di riduzione in schiavitù ai fini della prostituzione, considerando che la ragazza, privata dei documenti e limitata nella sua libertà, è stata indotta a prostituirsi attraverso gravi e costanti minacce e altre pressioni psicologiche, oltre che soggetta a un controllo asfissiante che le ha impedito a lungo di liberarsi; i due sono comunque anche indagati per i suddetti reati previsti dalla nota Legge “Merlin” per lo sfruttamento dell’altra donna rumena.
Per la quarantaduenne, che di fatto condivideva con la trentacinquenne il ruolo di “maitresse” ma in posizione apparsa meno grave ( risponderà dello sfruttamento di entrambe le vittime al meno grave titolo dei reati di cui alla Legge “Merlin”), è stata invece disposta la misura cautelare meno afflittiva dell’obbligo di dimora nel comune dove risiede.
Altro servizio sulla Prealpina di sabato 1 ottobre.
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