IL CASO
Prostituzione, il Ticino cambia
Mentre Salvini e la Lega propongono il modello elvetico per la riapertura delle case chiuse, nel Parlamento di Bellinzona via alla discussione per la revisione in chiave restrittiva della legge

«Regolamentare e tassare la prostituzione come nei Paesi civili, riaprendo le case chiuse. Ne sono sempre più convinto». Queste le parole contenute in un tweet di Matteo Salvini, con il quale ripropone un tema “forte” all’interno della campagna elettorale. Una misura che porterebbe soldi nelle casse dello Stato e toglierebbe in parte lavoro alla criminalità. A più riprese il leader leghista ha fatto riferimento alla Svizzera come esempio in materia ma, se può avere ragione nel metodo, nel merito va precisato che la stessa Confederazione si sta interrogando a più riprese se il modello attuale sia vincente. Al Parlamento ticinese proprio lunedì 22 è cominciata la discussione per la “Revisione totale della legge sull’esercizio della prostituzione del 25 giugno 2001”, modifica che ha richiesto ben 5 anni di lavoro voluta dal ministro dell’Interno ticinese Norman Gobbi, da sempre molto attento al fenomeno. Va bene prendere le tasse, va bene controllare la salute di chi esercita, ma il vero timore da questa parte del confine è che sfugga un po’ tutto di mano, permettendo l’infiltrazione della malavita organizzata in grado di controllare in maniera quasi invisibile la tratta delle ragazze. Per questo motivo, oltre alla Legge federale, che prevede che chi fa “il mestiere” si annunci alla polizia come un qualunque altro “artigiano”, c’è la volontà di obbligare queste donne o uomini – esistono anche loro naturalmente – a lavorare solo dopo essere stati autorizzati, quindi controllati. La parte cattolica dei parlamentari ticinesi teme tuttavia che “trasportare” tutto sul piano di un regime autorizzativo, quindi commerciale, possa banalizzare un settore dove c’è già tanto sfruttamento. Gli esponenti della Lega dei Ticinesi, che sostengono il loro ministro Gobbi in questo sforzo di cambiare la legge, ammettono che lo sfruttamento già c’è e spesso è legato ad attività criminose, tanto da aver inserito un nuovo articolo che riguarda la tratta di esseri umani che offrirà protezione a coloro che denunceranno i propri “magnaccia”. Avranno poi un permesso di soggiorno temporaneo per la fase dell’inchiesta e del processo, se sono straniere, aiuti finanziari ed un alloggio. A questo si aggiunge un versamento di 25 franchi giornalieri da parte del gestore del locale ove la donna esercita per poi versarli al fisco. Insomma, il Canton Ticino ha da tempo scoperto che il mondo delle luci rosse non è solo una buona fonte di reddito mediante tasse, ma può portare grattacapi. Non è un caso se dal 2012, con una vasta operazione denominata “Domino”, curata dal procuratore generale ticinese John Noseda, siano stati chiusi decine di bordelli con espulsioni ed arresti di donne e gerenti.
Servizio completo sulla Prealpina di martedì 23 gennaio
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