LA REQUISITORIA
«Regista e mandante». Chiesto l’ergastolo
Per il delitto Mendola, consumato nel 2017 nei boschi di Pombia, l’imprenditore Cauchi ora rischia di non uscire più dal carcere. Sentenza a fine novembre

Giuseppe Cauchi, l’imprenditore bustese imputato per l’omicidio di Matteo Mendola a Novara, merita «il fine pena mai».
Lo ha chiesto il pubblico ministero Mario Andrigo al termine della requisitoria: Cauchi fu il regista oltre che il mandante e fornì pure l’arma agli assassini.
Alternative all’ergastolo, visto che il cinquantatreenne di origini gelesi non aveva scelto il rito abbreviato, non ce ne sono. Il delitto, consumato nei boschi di Pombia, risale alla sera del 4 aprile 2017 e venne.
Il bustese Mendola venne ammazzato da Antonio Lembo - con la complicità di Angelo Mancino - a colpi di pistola. I due sono già stati condannati in primo grado, con rito abbreviato, a trent’anni di reclusione e attendono il giudizio di appello.
Fu proprio Lembo a indicare Cauchi come mandante. Il pm davanti alla corte d’assise non ha celato il fatto che durante il confronto tra i due Lembo abbia risposto «non ricordo, non posso confermare». «Ma non c’è alcun motivo per cui Lembo avrebbe dovuto calunniare Cauchi, perché avevano rapporti di fiducia reciproca».
La procura ha inoltre elencato i riscontri trovati dagli investigatori alle dichiarazioni del killer che raccontò, per esempio, del sopralluogo fatto con Cauchi nei boschi del Ticino circa un mese prima del delitto: a riprova ci sono le celle telefoniche di Marano Ticino e Pombia che quel giorno agganciavano i cellulari dell’imprenditore e dell’operaio.
Poi ci sono i 500 euro che Cauchi dette a Lembo per scappare al Sud e non essere catturato.
E il movente? A parere del pubblico ministero «Cauchi aveva un debito nei confronti dei familiari della vittima, che avevano lavorato nei suoi cantieri». Gli avvocati Anna Maria Brusa e Giancarlo Trabucchi, legali dei familiari di Mendola, hanno chiesto il risarcimento dei danni, ribadendo che «Lembo non aveva motivi per accusare falsamente Cauchi. Tra i due, nel mese precedente il delitto, ci sono state centinaia di chiamate. Lembo ha accettato perché aveva bisogno di soldi».
I difensori dell’imputato, Cosimo Palumbo e Flavio Sinatra, hanno ribadito invece l’assenza di qualsiasi correlazione tra Cauchi e il delitto e la contraddittorietà delle dichiarazioni di Lembo: «Cercate un movente. Non accontentatevi di ciò che dice Lembo, che a un certo punto parla addirittura di una partita di droga di cui la vittima si sarebbe impossessata. Tutto questo non regge».
A parere della difesa, se Cauchi fosse implicato nella vicenda avrebbe tradito preoccupazione o circospezione: invece «nelle telefonate col figlio, intercettate, parlano del fermo di Lembo e lui non manifesta la minima preoccupazione. Anzi in una conversazione diceva che Lembo e Mendola erano nei boschi per commettere dei furti».
L’imprenditore bustese lo ha dichiarato anche in aula: «Non avevo alcun motivo per fare ammazzare quel ragazzo. È vero, i suoi parenti avevano lavorato per me e avanzavano dei soldi, ma piano piano li stavo pagando». La corte d’assise si pronuncerà a fine novembre.
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