FUORI DAL COMA
Nicolò, la speranza: ora si esprime con le dita
E’ sveglio e comunica a gesti il 23enne scampato alla furia omicida del padre Alessandro Maja. Quest’ultimo chiederà la nomina di un amministratore di sostegno

La speranza dopo la tragedia. La speranza che l’unico sopravvissuto alla strage familiare di Samarate ce la faccia. La speranza che possa riprendersi. Nicolò Maja è uscito dal coma. Non parla, non si muove ma a quanto pare il ventitreenne è in grado di riconoscere i parenti. Si intuisce dalla gestualità delle dita, che sembrano dare risposte affermative o negative alle domande - poche e di carattere generale - che gli vengono poste. I medici dell’ospedale di Varese per ora non sciolgono la prognosi, il cammino di recupero sarà piuttosto lungo.
Non è neppure possibile stabilire se il ragazzo abbia coscienza di quanto accaduto all’alba del 4 maggio e non è questo il momento clinicamente opportuno per stimolargli la memoria.
IL PADRE IN CARCERE
Il padre Alessandro - che da quel giorno è detenuto per l’omicidio della moglie e della figlia Giulia - ieri mattina ha appreso dei miglioramenti di Nicolò dagli avvocati Enrico Milani e Sabrina Lamera e attraverso la mimica facciale ha espresso un chiaro senso di felicità, di sollievo. La polizia penitenziaria che lo piantona da giorni nel reparto carcerario dell’ospedale San Paolo ieri gli ha comunicato il trasferimento nel penitenziario di Monza in giornata, ciò significa che anche le sue condizioni di salute non siano più così delicate. Il designer cinquantasettenne è comunque un uomo solo: «Non ha nessuno che gli porti un cambio di vestiti, che gli depositi qualche spicciolo per le spese di mantenimento, o che semplicemente gli faccia visita», osservano i legali. E infatti il libero professionista - che da gennaio era ossessionato da un imminente tracollo finanziario rimasto fino adesso inspiegabile - chiederà la nomina di un amministratore di sostegno che possa gestire il denaro necessario dietro le sbarre.
IL FRATELLO IN LIGURIA
Maja ha un fratello con cui da anni ha interrotto ogni rapporto: vive in Liguria e pare non abbia neppure fatto una telefonata per informarsi. La seconda moglie del padre, deceduto tempo addietro, ha contattato la Procura di Busto Arsizio e in seguito gli avvocati un paio di giorni dopo la strage, ma poi non ha manifestato più alcun interesse. I suoceri e il cognato sono concentrati sul futuro di Nicolò.
LA RICHIESTA DI RISPOSTE
«La famiglia di Stefania Pivetta vorrebbe capire, avere delle risposte a questa barbarie che non trova alcuna spiegazione. Vorremmo comprendere quale genere di difficoltà economica lo angosciasse perché lui non entrò mai nei dettagli con nessuno. Non abbiamo idea di quali problemi avesse e attendiamo di scoprirlo», commenta l’avvocato di parte civile Stefano Bettinelli.
LA CONSULENZA
Intanto il pubblico ministero Martina Melita ha disposto una consulenza anche sui computer e i telefoni delle vittime alla ricerca di elementi che possano inquadrare il clima domestico che aleggiava nella villa di via Torino prima della mattanza. E per determinare una possibile premeditazione, che aggraverebbe ulteriormente le accuse di duplice omicidio volontario di Stefania e Giulia e di tentato omicidio di Nicolò. Nessuno sviluppo invece sull’incursione nella casa sotto sequestro una settimana dopo il delitto.
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