LA SENTENZA
Violenze davanti al bimbo, condannato
Botte fino a rompere la protesi della moglie: 13 anni e 4 mesi

Ogni volta che lui tornava giurandole di essere un uomo nuovo lei gli dava una chance di riscatto. A febbraio dell’anno scorso la trentaduenne toccò il fondo della disperazione e denunciò anni di inaudite violenze. Le meticolose e approfondite indagini compiute dal pubblico ministero Flavia Salvatore ieri, giovedì 8 aprile, sono sfociate in una condanna esemplare: tredici anni e quattro mesi di reclusione e un congruo risarcimento dei danni. Il collegio presieduto dal giudice Rossella Ferrazzi (a latere Daniela Frattini e Marco Montanari) ha deciso di trasmettere gli atti per tutti i testi della difesa con l’accusa di falsa testimonianza. Il quarantenne rispondeva di maltrattamenti aggravati, estorsione, violenza sessuale, violazione della misura di sorveglianza, il tutto appesantito dalla recidivanza (l’imputato ha precedenti per stupefacenti).
Il quarantenne venne arrestato a marzo dell’anno scorso in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Piera Bossi. Sfogliare il provvedimento era come immergersi in un libro di genere drammatico. Dal 2018, dopo un periodo in cui il quarantenne aveva indossato la maschera del principe azzurro, le botte erano diventate sempre più frequenti e nemmeno la presenza di un bimbo serviva da freno. Un episodio che riassume con efficacia la brutalità dell’imputato? Il giorno in cui picchiò la moglie con tale ferocia da spostarle - deteriorandola - una protesi mammaria. Costanti erano gli schiaffi e gli sberloni sulla nuca, non rare le morsicate. L’uomo perdeva il controllo per le banalità più incredibili, sovraeccitato dall’abuso di droga. La trentaduenne in passato aveva provato ad allontanarsi, rifugiandosi dalla sua famiglia, ma il marito riusciva puntualmente a irretirla e a riconquistarla. Un tira e molla infinito, purtroppo tipico dei rapporti complicati.
Nelle settimane precedenti la denuncia il quarantenne era diventato ancor più minaccioso. Le spaccava l’auto, devastava arredi e suppellettili, insultava e gridava come fosse indemoniato. Fu la mamma della ragazza ad accorgersi che il genero non fosse mai cambiato. Notava le ecchimosi della figlia, l’umore tetro, l’ansia che percepiva anche il nipotino. La donna, con la collaborazione di tutti i familiari, dette la forza alla trentaduenne per recidere il legame malato. Il percorso di ricostruzione dell’autostima sta funzionando, corroborato dalla sentenza pronunciata ieri dal collegio che ha riconosciuto l’orrore di quel ménage familiare.
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