URBANISTICA
Ex Isotta, fuori le idee
L’architetto Zucchi: «Ripensare gli spazi pubblici»

Per l’ex Isotta Fraschini sul web è arrivato “Vivaio Saronno”, un contenitore sui social che costituisce il primo atto del percorso verso il recupero della grande area dismessa che si trova alle spalle della stazione ferroviaria di “Saronno centro”, in via Milano, e che si vorrebbe trasformare (è una delle suggestive ipotesi della quale si è parlato molto negli ultimi tempi) in un campus universitario che potrebbe richiamare 4.000 studenti.
È un progetto a lungo termine, ma le cose sono in rapida evoluzione e adesso c’è il sito, con richiami anche sui social, ancora in parte “under construction” ma con contenuti già di particolare interesse perché iniziano a dare una idea sul domani di questa parte di città. Ci sono alcune belle fotografie degli spazi abbandonati, iniziando dagli enormi capannoni che si trovano nell’ex area dismessa; c’è anche un suggestivo logo che mostra la “sagoma” dell’ex Isotta Fraschini con la sua ciminiera e qualche frase che fa capire come la pensino i realizzatori del sito, chi è coinvolto nella ri-progettazione, parlando di un “vivaio” che è «l’opposto della città dormitorio, che rimanda alla luce, non parla di cemento, né di parcheggi ma di natura, di rilancio, di qualcosa che nasce».
C’è inoltre un’intervista a Cino Zucchi sulle aree dismesse: è la archistar che è stata incaricata dalla proprietà dell’ex Isotta, ossia il benefattore saronnese Giuseppe Gorla, ex manager di una multinazionale, che l’ha comprata per donarla alla città e seguirne il recupero. «Al cadere della loro funzione industriale - spiega Zucchi - ci troviamo di fronte a recinti impenetrabili, quasi la fabbrica fosse un’organizzazione militare, chiusa su se stessa, il cui accesso al cittadino è precluso. Ma le peculiarità che le riguardano, come la dimensione, la posizione e la questione ambientale, ci costringono ad un pensiero nuovo. A una rifondazione, attraverso nuovi modelli di spazio pubblico, verdi, che rigenerino l’area urbana».
Al centro di tutto, appunto, l’ipotesi di spazi pubblici di nuova generazione che accolgano i «nuovi stili di vita, anche in una chiave post Covid».
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