IN AULA
Sequestro Mazzotti: «Troppi calmanti e la ragazza morì»
Disposto il proscioglimento “per morte del reo” di Giuseppe Morabito. Il processo prosegue con altri tre imputati. Il racconto di un pentito

L’ufficialità è arrivata ieri, mercoledì 5 febbraio, durante la nuova udienza per il processo ai presunti mandanti del rapimento di Cristina Mazzotti. La Corte d’assise del Tribunale di Como ha disposto il proscioglimento «per morte del reo» di Giuseppe Morabito - nato ad Africo, in provincia di Reggio Calabria, ma residente a Tradate - morto all’età di 80 anni lo scorso novembre.
LA VICENDA
Cristina Mazzotti era stata rapita il 30 giugno 1975: aveva compiuto 18 anni da una settimana, con il fidanzato e un’amica era andata a festeggiare il diploma appena ottenuto al liceo. Mentre con la Mini gialla del fidanzato stava rientrando nella villa di famiglia a Eupilio, nel Comasco, i tre erano stati fermati ad Appiano Gentile da tre uomini mascherati scesi da una Fiat 125. Misero un cappuccio in testa alla ragazza e la infilarono in auto. Fu ritrovata morta il primo settembre successivo in una discarica di Varallino di Galliate, nel Novarese.
IL NUOVO PROCESSO
Dopo il proscioglimento di Morabito, sul banco degli imputati rimangono Giuseppe Calabrò, 74 anni, detto “’u dutturicchiu“, Antonio Talia, 73 - entrambi residenti in provincia di Reggio Calabria - e Demetrio Latella, 71, detto “Luciano“, residente nel Novarese, l’uomo una cui impronta digitale fu trovata sulla carrozzeria della Mini sulla quale Cristina viaggiava la sera del rapimento.
IL RACCONTO DEL PENTITO
L’udienza di ieri ha avuto per protagonista il pentito di ‘ndrangheta Antonino Cuzzola, 72 anni, che nel carcere di Porto Azzurro, tra il 1976 e il 1977, ebbe modo di condividere un periodo di detenzione con Franco Gattini, il “cassiere” che per conto della banda di rapitori intascò il riscatto di un miliardo e 50 milioni di lire pagato dal padre della ragazza quando, in realtà, Cristina era già morta. A Gattini, ha ricordato Cuzzola, si aggiunse dopo qualche mese anche il carceriere della ragazza, Giuliano Angelini, lui pure inviato a Porto Azzurro. «A me e a Gattini, Angelini disse che la ragazza si ribellava e gridava, allora lui andò in farmacia e acquistò una boccetta di Valium che le metteva nell’acqua, e poi delle pastiglie calmanti, ma si vede che gliene diede troppe. E la ragazza morì». Dell’eventuale ruolo di mandanti che la Procura attribuisce agli imputati, il testimone non ha saputo dire nulla. Si torna in aula mercoledì prossimo - 12 febbraio - con altri testimoni dell’accusa.
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