L'INCONTRO
"Serve il coraggio di realizzare il proprio sogno"
Daniele Novara a Varese per raccontare il pensiero di Dolci. E aiutare il progetto di un hospice
"Si può crescere solo se sognati".
La chiosa d'una celebre poesia di Danilo Dolci è stato il filo conduttore del viaggio d'una sera per una comitiva di persone, oltre una cinquantina, che s'è ritrovata nella sala di Villa Recalcati per ascoltare Daniele Novara.
Pedagogista, collaboratore e dunque anche discepolo di Dolci di cui ha scitto l'introduzione a "Dal trasmettere al comunicare", Novara oggi dirige il Centro psicopedagogico di Piacenza. Con lui, venerdì 11 novembre, al tavolo dei "comunicatori" (relatore è un termine che Dolci avrebbe aborrito in questo caso) ci sono stati l'avvocato Luigi Campiotti, cofondatore del Fondo Danilo Dolci e membro dell'associazione Vogliadivivere Onlus, che, rpesieduta da Paola Borroni Rossi, a Varese si batte per dar vita a un nuovo hospice, ovvero un luogo deputato a prendersi cura - e non a "curare" - di malati terminali.
Sembrerà paradossale l'ossimoro "dare vita a un hospice" ha spiegato Alessio Neri, psicologo varesino, membro anch'egli di Vogliadivivere e terzo relatore della serata, rispondendo a uno dei numerosi interventi dal pubblico. In realtà, ha proseguito Neri, "non v'è nulla di più vitale di un'esistenza che non allontani da sé l'idea della morte, che non cancelli il limite della vita per tranquillizzarsi, distraendosi in sicurezze che si dimostrano se non del tutto false, alquanto relative. Esempi? Lo share tra Bot e Bund".
Sul filo dei ricordi l'intervento di Campiotti che, "quale ottantenne e dunque - ha detto - più vicino di altri alla soglia della morte" ha rilanciato un versione più rassicurante dell'utopia, intesa non quale u-tòpos, cioè "non luogo" bensì come eu-tòpos, ovvero "buon posto".
"Per me questo buon posto è l'hospice" ha detto in sintesi Campiotti che, giocando sul lapsus sincronico del moderatore, ha anche reso onore a un grande avversario di battaglie politiche quale fu per lui l'avvocato Luigi Bombaglio, ricordandone, oltreché gli screzi, soprattutto le poesie e dimostrando quanto la maieutica, metodo professato da Dolci per imparare, cioè per conoscere - ovvero per essere liberi anche di esprimere un giudizio e dunque di scegliere - non sia una mera questione intelettual-filosofica.
S'è parlato di maieutica, cioè di "parto" della verità e Daniele Novara a questa funzione "ostetrica" non s'è sottratto, raccontando la vita di Dolci attraverso una sorta di cronopensiero del poeta-pedagogo-attivista della non violenza: dalle battaglie per l'appunto non violente contro cosa nostra fino allo sciopero al contrario, quando, con un pugno di disoccupati lasciati a casa da "padroni mafiosi" si mise a bonificare un campo incolto e una strada disastrata e fu per questo arrestato e incarcerato; dall'opera d'insegmaneto ai contadini analfabeti di Trappeto fino all'istituzione del Centro d'educazione per bambini dai tre ai sei anni di Mirto: "Dolci - ha raccontato Novara - era un uomo che sapeve guardare oltre il limite di ciò che solo in apparenza tranquilliza (e qui sta forse più di ogni altro riferimento, la connessione col tema dell'hospice, ndr), ovvero il già conosciuto. Lui combatteva contro la violenza della ripetitiva trasmissione di nozioni ai bambini così come agli adulti e oggi inorridirebbe davanti all'indigestione passiva dei bambini e degli adulti davanti a spettacoli quali il Grande fratello e amenità varie. Il motivo? Le nozioni, così come le false verità sparse per oro colato dalla pubblicità e da certi slogan politici, sono dati che non solo non generano conoscenze ulteriori e dunque progresso, ma avvelenano la capacità che ciascuno di noi ha di creare, nel migliore dei casi, anestetizzandola. Favoriscono cioè la volontà di dominio sulla possibilità che invece ha in sé tutte le sfumature del verbo "potere". Ecco perché Dolci usava la maieutica e utilizzava la domanda come grimaldello per incuriosire e mettere sulla via della conoscenza. Per fare esempi, faceva ascoltare la musica classica agli analfabeti o leggeva loro le poesie: l'importante non è il "saputo" ma sorreggere la predisipisione al sapere che tutti abbiamo e che dobbiao utilizzare per progredire. Solo così si può tentare di realizzare il proprio sogno, utopia inclusa. Solo così la vita è davvero un'esperienza viva che si può comunicare e condividere, come piaceva dire a Dolci, come un'ostia di pane".
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