IN TRIBUNALE
Si pentì subito: giusti 21 anni per l’arciere di Cittiglio
Depositate le motivazioni della sentenza per Scalco
Depositata la sentenza d’appello bis a carico di Evaristo Scalco, l’artigiano di Cittiglio di 66 anni che, nella notte tra l’1 e il 2 novembre 2022, dalla finestra del suo appartamento nei vicoli del centro storico di Genova, prese l’arco che si era costruito con le sue mani, lo imbracciò e scoccò un’unica freccia che trafisse e uccise Javier Alfredo Miranda Romero. Una sentenza, quella emessa dai giudici della prima Corte d’Assise d’Appello di Milano l’8 ottobre scorso, che ne ha ridotto la pena: i 23 anni della Corte d’Assise di Genova sono infatti scesi a 21 al secondo passaggio in appello. In linea con le indicazioni della Corte di Cassazione.
Nel rendere definitiva la condanna per omicidio volontario aggravato dai futili motivi, la Suprema Corte aveva disposto al tempo stesso l’annullamento con rinvio della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Genova per rideterminare la pena. Una pena giudicata troppo alta. Secondo gli Ermellini, Scalco, una persona incensurata, che per di più si era visto riconoscere le attenuanti generiche, avrebbe dovuto avere una pena ridotta al minimo previsto dal Codice penale in questi casi. E così è stato.
Leggendo le motivazioni, la Corte d’Appello ambrosiana ha subito premesso che l’omicidio dell’artigiano è stato connotato da dolo eventuale. In altre parole, quando Scalco scagliò la freccia per punire la vittima - un muratore peruviano di 41 anni, che stava festeggiando con un amico la nascita del figlio, avvenuta poche ore prima -, ai suoi occhi “colpevole” di fare troppo baccano fuori dal locale sottostante l’appartamento che aveva affittato nel centro storico di Genova e di averlo deriso a fronte delle sue rimostranze, pur non avendo l’intenzione diretta di uccidere, aveva messo in conto che la sua condotta poteva causare la morte e ne aveva accettato il rischio.
Ciò premesso, subito dopo aver lanciato la freccia dalla finestra e una volta visto che il peruviano non accennava a rialzarsi, «l’imputato tenne una condotta indicativa di una spontanea e immediata resipiscenza». A detta dei giudici milanesi, infatti, Scalco, difeso dagli avvocati Jacopo Pensa e Federico Papa, «scese in strada» e, prima, «cercò di tamponare la ferita con un asciugamano» e, poi, «di estrarre la freccia, di quelle che si usano per la caccia al cinghiale». Quindi «era rimasto accanto alla vittima fino a quando non arrivarono i soccorsi e le forze dell’ordine, noncurante delle persone che inveivano contro di lui e lo volevano aggredire». Oltre a questo, «ha reso ampia confessione» e «ha collaborato sin da subito con l’Autorità giudiziaria».
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