DELITTO MACCHI
Delitto Macchi: Binda da risarcire con 212mila euro
La quinta Corte d’Appello di Milano ha dato l’ok al risarcimento per l’ingiusta detenzione, già annullato dalla Cassazione. L’ordinanza è ancora revocabile

La quinta Corte d’Appello di Milano ha riconosciuto un indennizzo di oltre 212mila euro a Stefano Binda per i quasi 1.300 giorni di custodia cautelare in carcere trascorsi ingiustamente tra il gennaio del 2016 e il luglio del 2019. Ingiustamente perché il 57enne di Brebbia, al termine dell’iter processuale, è stato assolto in via definitiva nel gennaio del 2021 dalla Corte di Cassazione dall’accusa di aver ucciso Lidia Macchi, la studentessa universitaria di Casbeno di soli 21 anni accoltellata a morte nei boschi di Cittiglio tra il 5 e il 6 gennaio del 1987.
L’INDENNIZZO
L’ordinanza, che porta la firma del collegio presieduto dal giudice Roberto Arnaldi, ha ritenuto sussistente il diritto di Binda alla riparazione dall’ingiusta privazione della libertà personale seppure in misura minore rispetto ai 303mila euro richiesti dal brebbiese, per tramite dei propri legali, gli avvocati Patrizia Esposito e Sergio Martelli. La stessa cifra, 303mila euro, che per la cronaca era stata per altro concessa nel marzo del 2022 dalla stessa sezione della Corte d’Appello, ma in diversa formazione, con un provvedimento poi annullato dalla Cassazione, da cui è disceso l’appello bis sull’istanza di indennizzo.
LE MOTIVAZIONI
Stando alle motivazioni della nuova ordinanza, giunta a a tre mesi di distanza dall’udienza di discussone, a Stefano Binda è attribuito «un profilo di colpa lieve» perché, tra le altre cose, durante la sua deposizione nel corso del processo di primo grado davanti alla Corte d’Assise di Varese avrebbe reso «dichiarazioni contorte ed evasive», tenendo «un comportamento negligente che ha contribuito, seppur in parte, all’erroneo convincimento della sua colpevolezza e del mantenimento, sul piano cautelare, del regime costrittivo». Da qui la scelta dei giudici della quinta Corte di Appello di Milano «di non escludere il diritto al ristoro» rivendicato dal brebbiese, ma «di rideterminarlo in termini di equità» nella misura di 212.294,34 euro. Nello specifico, il 30% in meno rispetto alla somma rivendicata da Binda e ricavata moltiplicando la cifra standard di 235,87 euro per i 1286 giorni trascorsi in carcere. L’ordinanza non è ancora irrevocabile. Perché ora sia la difesa Binda sia la Procura Generale di Milano e l’Avvocatura dello Stato (queste ultime entrambe da sempre contrarie all’ipotesi di indennizzo) entro 90 giorni potranno presentare ricorso o meno in Cassazione.
© Riproduzione Riservata