IL CASO
Travolto in bici: arrestati la moglie e cinque complici
Svolta nelle indagini sulla tragedia di Fabio Ravasio travolto da un’auto a Parabiago: «Omicidio premeditato». Il movente di natura economica

Non fu un pirata della strada a uccidere Fabio Ravasio. Dietro l’incidente del 9 agosto, in via Vela, ci sarebbe la regia della moglie. È una svolta clamorosa quella che ieri i carabinieri della compagnia di Legnano hanno impresso all’indagine aperta per omicidio stradale. Il pubblico ministero Ciro Caramore ha emesso sei decreti di fermo di indiziato del delitto di omicidio volontario aggravato, già lunedì potrebbero essere fissate le convalide davanti al gip.
L’AUTO INTESTATA ALLA MOGLIE
L’accelerazione all’inchiesta è arrivata giovedì, quando la banca dati ha fornito un elemento determinante: la Opel Corsa nera che investì la mountain bike di Fabio, inquadrata dalla telecamera, risulta intestata alla coniuge. Nella notte di ieri è stata messa sotto sequestro e a quel punto sono partite le intercettazioni, gli appostamenti e la raccolta di testimonianze. Ciò che emerge dagli atti tratteggia un piano studiato da circa tre mesi privo però di costrutto e professionalità.
CAFFE’ SCORRETTO
Il delitto, almeno secondo quanto ricostruito dalla procura di Busto Arsizio, poggerebbe sul movente economico: Ravasio era benestante, aveva un cospicuo patrimonio ereditato dai genitori ed entrate più che soddisfacenti dall’attività di spedizioni che aveva a Magenta. La moglie Adilma Pereira Carneiro, da circa un anno avrebbe intrecciato una relazione con il titolare di un bar di Parabiago. Entrambi sarebbero coinvolti nel delitto e oltre a loro ci sarebbero Il fidanzato della figlia di Adilma, un amico del titolare del locale e altri due clienti. Ognuno di loro avrebbe già ammesso le proprie responsabilità e il ruolo avuto in quel finto incidente stradale, progettato al tavolino del bar. Ma le carte potrebbero essere rimescolate in sede di interrogatorio.
«ELIMINATELO»
Era diventato un rapporto conflittuale e logoro quello tra Adilma e l’imprenditore cinquantaduenne, o almeno questo è ciò che la donna confidava ai cinque coindagati. «Voglio liberarmene, non ce la faccio più», diceva chiedendo aiuto per l’esecuzione. In cambio di questo favore a qualcuno avrebbe promesso una somma, a qualcun altro una casa. Al barista niente, questo ha sostenuto l’uomo ieri pomeriggio in procura a Busto Arsizio, davanti al pm Caramore. «La nostra non era una storia stabile, era una frequentazione», avrebbe anche precisato. Ci sono molte zone d’ombra nella vicenda, per esempio non è chiaro chi fosse alla guida della Opel la sera del 9 agosto. Nell’abitacolo un paio di testimoni avrebbero intravisto due uomini, c’è invece chi è certo che ci fosse una donna al volante. La targa era stata addirittura contraffatta, ma il trucco ha solo ritardato di qualche giorno la soluzione del caso. A furia di tentativi di combinazioni alfanumeriche i carabinieri sono risaliti alla proprietà. La chiave di volta sarebbe stata l’incrocio con la lettera Z.
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