GANNA
Monastero alla Badia, bene da rilanciare
Rinasce il progetto religioso attraverso una fondazione. Claudio Bollentini sta cercando di riportare una comunità di monaci a San Gemolo dopo 500 anni di assenza

Prima verrà costituita un’associazione, poi si procederà a valutare la possibilità di riportare una comunità monastica nella Badia di San Gemolo in Ganna.
Infine, quando ci saranno più certezze, si porterà avanti anche l’altro progetto del romitaggio nelle vicinanze. La strada è tracciata, non resta che percorrerla: Claudio Bollentini, colui che si sta impegnando per riportare i monaci in Valganna, è stato soltanto rallentato dalla pandemia. Il progetto monacale va avanti.
D’altronde se le tonache da qui sono assenti da circa cinquecento anni, non sarà un problema un ritardo di qualche mese. Ad ogni modo l’iniziativa prosegue. Anche perché Bollentini ha creato un organismo analogo presso l’Abbazia di Novalesa e conta di replicare questo modello anche nell’alto Varesotto: «A Ganna - afferma il 56enne varesino, oblato regolare a Novalesa - costituiremo un’associazione o una fondazione culturale, indipendente, laicale, di oblati e non solo, ma già pensata nella forma della comunità. Questo inizialmente, poi se le condizioni generali lo consentiranno, procederemo a valutare la possibilità di farne una comunità monastica. Quando avremo la tempistica e la certezza, procederemo anche al co-progetto di romitaggio nelle vicinanze. Insomma, siamo sicuramente sul pezzo e un passo avanti è arrivato anche dalla Provincia, che ha recentemente nominato un consulente per rilanciare, ottimizzare e mettere a reddito, nei limiti del possibile, i tanti beni di proprietà, a cominciare appunto dai monasteri».
Si scriverà dunque un nuovo capitolo sull’abbazia di San Gemolo a Ganna? Si vedrà. Anche perché non è lontanissimo il millenario della sua fondazione. Il luogo di culto fu infatti fondato dall’alto clero lombardo, nel 1095, su concessione dell’Arcivescovo di Milano, Arnolfo II e le origini sono legate anche a una leggenda.
Si narra infatti che, intorno ai primi decenni dell’anno 1.000, Gemolo, giovane diacono in pellegrinaggio verso Roma, venne decapitato da un gruppo di briganti del Seprio. Dopo essere stato ucciso, il ragazzo raccolse la sua testa e cavalcò fino al luogo dove oggi è sita l’abbazia benedettina. Fu così che una terra, da sempre contesa, divenne il cuore di una fiorente attività monastica. Il mutamento dell’abbazia in commenda, voluto da Eugenio IV, nel 1477, segnò la fine della vita dei monasteri, privandoli di quella ricchezza innovativa che in quell’epoca rappresentavano. E così, nel 1556, dopo la sua chiusura, la chiesa assunse la funzione di parrocchiale.
Ora, quasi a cinquecento anni di distanza, torneranno davvero i monaci?
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