IL PROCESSO
Varese, «avvocata da condannare»
Donna accusata di truffa e patrocinio infedele

Un anno e quattro mesi di reclusione. È questa la pena chiesta ieri, lunedì 14 luglio, dal pubblico ministero Marco Brunoldi per l’avvocata accusata di aver truffato quattro clienti, tra il 2018 e il 2021, facendosi pagare le parcelle senza aver svolto alcuna attività per portare avanti le loro cause. La donna - che non esercita più la professione forense - è imputata di patrocinio infedele e truffa.
Quattro i fascicoli confluiti nel processo quasi in dirittura d’arrivo davanti al giudice Davide Alvigini, che pronuncerà la sentenza a metà ottobre. Quattro ipotesi di raggiro, quattro persone offese che si sono costituite parte civile (con gli avvocati Furio Artoni e Monica Mina), decise a ottenere un congruo risarcimento del danno subito. All’avvio del dibattimento, i difensori - Federica Esposito e Luca Raviola - avevano chiesto la “messa alla prova”, con lavori di pubblica utilità e successiva estinzione dei reati per l’imputata cinquantenne; ma l’istanza era stata respinta. Si è così arrivati al processo celebrato con rito abbreviato - allo stato degli atti, quindi senza testimoni, ma con uno sconto di pena in caso di condanna. I suoi legali hanno chiesto l’assoluzione della professionista, sostenendo che non si fosse mai costituita nei procedimenti incriminati e quindi non si possa configurare il patrocinio infedele; mentre per la truffa la tesi è che se non le fossero stati revocati i mandati lei avrebbe svolto regolarmente l’attività.
In un caso, secondo la ricostruzione dell’accusa, l’avvocata avrebbe raggirato una donna che era stata morsa da un cane e che si era rivolta a lei per farsi assistere nel procedimento contro i padroni dell’animale: incassati 3.200 euro tra onorario e fantomatici “contributi” e “depositi”, non si occupò della causa, anzi fornì false comunicazioni alla cliente. In un altro, la vittima fu un anziano che le aveva affidato le pratiche del divorzio, pagando 800 euro per poi scoprire che la legale non aveva svolto i suoi compiti. C’è poi l’uomo che, processato per diffamazione, si rivolse all’imputata, la quale non solo gli assicurò di aver ottenuto l’assoluzione, ma promise poi di querelare per calunnia la denunciante e di chiederle anche un risarcimento. Un anticipo dopo l’altro, si fece consegnare 31mila euro senza aver mosso un dito. E una volta scoperto l’inganno, ne restituì solo un quarto (8.000).
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