IL DELITTO MACCHI
Binda: «Ora chiedo i danni»
Assoluzione definitiva in Cassazione: ringrazio i miei avvocati. Un pensiero ai Macchi: il mio incubo è finito ma resta il loro dolore

«È finito un incubo che è stato assolutamente reale, un incubo che ho vissuto da sveglio. Altri invece hanno dormito ed è stato quel sonno della ragione che produce mostri».
Sono passate da poco le sette di ieri sera, mercoledì 27 gennaio.
Stefano Binda è davanti alla villetta di via Cadorna a Brebbia dove cinque anni fa tutto cominciò - l’arresto all’alba davanti alle telecamere - e riceve una telefonata da Roma.
È l’avvocato Sergio Martelli, che parla con a fianco la collega Patrizia Esposito.
Il processo in Cassazione per l’omicidio di Lidia Macchi del 5 gennaio 1987 è finito e l’assoluzione di Binda è diventata definitiva.
È l’ormai ex imputato a spiegarlo in diretta: «La Cassazione ha respinto i ricorsi della Procura generale di Milano e della parte civile contro la mia assoluzione. E questo mi consacra l’innocente che sono sempre stato: ora è verità pubblica, incontestabile».
Verità a cui si aggiunge un particolare non di poco conto: gli “ermellini” hanno disposto anche che sia la famiglia Macchi a pagare le spese legali.
Binda è emozionato, anche se già dalla mattina si era capito che le cose per lui si mettevano bene, quando il Pg della Cassazione aveva chiesto la conferma dell’assoluzione arrivata in appello dopo l’ergastolo in primo grado a Varese.
Altro “dettaglio” non di poco conto: un rappresentante della pubblica accusa che sconfessa un collega. Ore dopo, quando ormai è buio pesto, Binda ricorda «le enormità» che ha dovuto subire, ma dice anche che va «a onore del nostro sistema quel che ha detto il Procuratore generale: mi ha molto colpito, perché attraverso di lui ha parlato lo Stato. Anche se dire che tutto è bene quel che finisce bene è una sciocchezza, se penso a quel che è successo a Varese. Ho vissuto gli estremi del codice penale: l’ergastolo, la pena più alta, e l’assoluzione con la formula più ampia. Certe sofferenze sono irrimediabili, ma chiederò un risarcimento per la devastazione economica che ha subìto la mia famiglia».
Si sente di dire qualcosa ai Macchi?
«Il mio processo è finito e il loro grande dolore resta. Vorrei che tornasse ad essere per me solo la famiglia Macchi e non più l’accusa privata in un processo ingiusto. Lo auspico davvero».
Al balcone arriva anche mamma Mariuccia: «Sono contenta? Di più. Dopo tanti anni di angoscia, però, ci vorrà qualche giorno per realizzare che è davvero tutto finito».
E poi un pensiero di Stefano per i suoi avvocati: «Hanno tutta la mia ammirazione. Hanno spesso dovuto lavorare dentro una nebbiolina feroce, con attacchi personali e alla loro professionalità e competenza, e non hanno mai perso la loro dignità».
Cosa resta di questi cinque anni?
«Tanta sofferenza, le cose più dure che abbia mai vissuto. Ma anche del bello: far pace con le proprie debolezze dà una forza che è sorprendente».
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