IN AULA
«Castiglioni può stare in giudizio»
Il neurologo dice sì al termine della perizia nel processo d’appello per appropriazione indebita di una Ferrari

A Milano come a Varese. Non c’è processo dove sia messa in dubbio la capacità di stare in giudizio di Gianfranco Castiglioni, l’ex patron di Cagiva. Con regolarità disarmante, però, nonostante l’ottantenne imprenditore varesino sia alle prese con «un fortissimo disagio personale» (così lo ha definito il suo difensore, l’avvocato Cesare Cicorella), i giudici, suffragati dalla perizia di turno, dicono che no, la capacità processuale di Castiglioni è fuori discussione.
È successo così nel processo legato al fallimento milionario della Dongo Srl (costato a Castiglioni una condanna in appello a sei anni di reclusione per bancarotta fraudolenta) e in quello in corso in tribunale a Varese, sulla bancarotta della Casti Spa (nel quale è contestata a lui ed altri co-imputati la creazione e la gestione di un’associazione per delinquere che avrebbe prodotto fatture false per oltre 2,4 miliardi di euro).
Ed è successo di nuovo ieri nel procedimento davanti ai giudici della seconda Corte d’Appello di Milano chiamati a giudicare sulla presunta appropriazione indebita legata alla vendita di una Ferrari Dino 246 Gt che aveva in comproprietà con il fratello Claudio, morto nel 2011.
Il perito neurologo incaricato dalla Corte d’Appello, che ha incontrato in un paio di occasioni Gianfranco Castiglioni, ha ribadito senza particolari dubbi la totale capacità di stare in giudizio dell’imputato. Dai colloqui è emerso che Castiglioni è perfettamente consapevole di che cosa tratti il processo e cioè delle accuse di appropriazione indebita e falso in atto pubblico per non aver riconosciuto nemmeno un euro della vendita della fuoriserie alla vedova e al figlio del fratello Claudio, legittimi eredi della Ferrari e parti offese nel processo rappresentate rispettivamente dagli avvocati Elisabetta Brusa e Andrea Lanata.
Ieri, però, poiché l’imputato è ammalato, è stato disposto un rinvio per la discussione e la sentenza d’appello. In primo grado a Varese il processo si era concluso con una condanna a un anno e quattro mesi di reclusione.
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