SARACINESCHE CHIUSE
«L’asporto non rende più»
L’asporto e la consegna a domicilio non convengono più, così ristoranti e bar di Varese gettano la spugna. Sono sempre di più le attività che hanno deciso di interrompere il servizio che, rispetto al primo lockdown e all’estate, non sta più funzionando. L’offerta ha ormai superato la domanda, con tantissimi ristoranti e pizzerie che si sono organizzati per continuare a servire i loro clienti. Troppa concorrenza che ha fatto diventare un costo le preparazioni d’asporto, piuttosto che un guadagno. A questo si è aggiunta la crisi che sta colpendo anche chi una cena o una pizza già pronta ancora se la concedeva. E non stiamo parlando di piccole attività di quartiere, ma dei ristoratori del centro, come la Bella Napoli, il ristorante Teatro, il Bologna. Così come i bar: se le persone non escono di casa restare aperti per qualche caffè non è conveniente. «Con l’asporto non si pagano nemmeno le spese e abbiamo smesso di farlo - spiegano i ristoratori del centro -. È un servizio che ha funzionato bene durante il primo lockdown, seppur con volumi ridotti ai minimi termini rispetto alle aperture. Quest’estate ci ha aiutato a bilanciare le perdite dovute alla riduzione dei tavoli, ma adesso è solo una spesa. Con l’inverno le ordinazioni si sono progressivamente ridotte fino a spingerci alla chiusura totale». Anche la pizzeria La Piedigrotta, che pur continua a fare consegna a domicilio e asporto, conferma il calo del servizio che ha fatto precipitare la percentuale delle perdite rispetto allo scorso anno fino all’80 per cento. E il futuro non è molto più roseo, nonostante si guardasse alla fine delle feste come la fine anche dei sacrifici e un progressivo ritorno alla normalità. «Quello che ci stanno prospettando sono aperture solo a pranzo e infrasettimanali, troppo poco. Lo faremo, ma così non si può andare avanti - continuano -. Tanto più che gli aiuti non arrivano o non sono nella misura necessaria. In queste condizioni è anche difficile fare previsioni, perché non sappiamo fin quando saranno richiesti sacrifici: pensavamo gennaio, ora le previsioni più rosee ci dicono la primavera. Quanti ristoratori potranno resistere fino a marzo o aprile?». Un clima di incertezze in un’attività in cui organizzazione e programmazione sono fondamentali. «Per riaprire un ristorante non basta tirare su la saracinesca, bisogna fare la spesa, programmare la cucina e organizzare il personale. Con che spirito possiamo farlo se poi da un giorno all’altro ci fanno richiudere? Abbiamo già provato a Natale cosa vuol dire impostare i locali in previsione di aperture e poi dover buttare via tutto. Ed è anche sconfortante vedere che i nostri sforzi non servano a nulla perché i contagi non accennano a diminuire». I ristoratori e pubblici esercizi si sentono presi in giro da provvedimenti e restrizioni che reputano senza senso. «Hanno chiuso bar e ristoranti, che potevano garantire standard di sicurezza elevati, come se fossero i principali luoghi di contagio. Per poi lasciare aperta la grande distribuzione, con scene di assembramenti e code che fanno davvero male a chi si sta sacrificando davvero. Non si capisce più niente e non sappiamo più nemmeno cosa dire e come reagire. L’impressione è di essere alla deriva in balia di non si sa nemmeno più che cosa». Contraddizioni dei provvedimenti restrittivi, che se fino a qualche tempo fa potevano far infuriare, oggi lasciano spazio allo sconforto e all’attesa. «Ormai aspettiamo di capire come dobbiamo comportarci e cosa ci sarà concesso fare, nel frattempo vogliamo degli aiuti proporzionati e veloci non più procrastinabili. Non solo per noi, ma anche per i nostri dipendenti che ancora aspettano di ricevere la cassa integrazione». L’ultima speranza è in una zona gialla che consenta aperture a pranzo e a cena e quindi anche una ripresa dei servizi di asporto e consegna a domicilio. «Le ultime misure, con tavoli da massimo quattro commensali, funzionavano. Ci hanno permesso di lavorare e le persone hanno dimostrato di avere ancora voglia di uscire fuori a mangiare in sicurezza. Servono piuttosto maggiori controlli per chi non rispetta le regole».
© Riproduzione Riservata