IL CASO
Mascherine “inutili”: indaga l’Antifrode
Poco filtranti i dispositivi venduti anche qui, l’organismo Ue ricostruisce la filiera

L’ufficio Antifrode dell’Unione europea (Olaf) sta indagando sulla società turca Universalcert che rilascia i certificati di conformità con il numero CE2163, lo stesso impresso sue mascherine Made in Italy che abbiamo acquistato in diverse farmacie di Varese.
I modelli di Ffp2 testati da una società altoatesina e certificati da questo stesso ente non risultano infatti conformi, con capacità filtranti molto ridotte rispetto a quelle necessarie per ottenere il certificato CE. La maggior parte dei dispositivi di protezione non ha superato il test del cloruro di sodio e della paraffina (per verificare il filtraggio) e, in alcuni casi, nemmeno quello del contenimento del respiro. Ora che sul mercato ci sono migliaia di mascherine inefficaci, il dubbio è che anche quelle in vendita nelle nostre farmacie possano rientrare nella stessa categoria, perché certificate dallo stesso ente sotto indagine. Acquistate come Ffp2 e quindi convinti di avere garanzie di protezione massima contro il Covid in ambienti chiusi, le mascherine sarebbero in realtà equivalenti ad una normalissima chirurgica. Spetterà all’Olaf chiarire se la responsabilità è di alcuni produttori o della Universalcert che, nelle comunicazioni con i propri clienti che chiedevano delucidazioni, ha ribadito la correttezza delle proprie procedure di controllo. Il distributore di queste mascherine ci aveva contattato dopo il servizio della settimana scorsa, in cui denunciavamo anche in città la vendita di dispositivi che potevano non essere conformi, nonostante il marchio CE. Secondo lui, la necessità di certificare in Turchia delle mascherine Made In Italy, prodotte da un’azienda di Roma, deriva dalla mancanza di enti certificatori italiani. Cosa inesatta. Esistono enti certificatori italiani, come ci aveva confermato il presidente della commissione Sanità, Emanuele Monti, e con standard molto elevati, ma più costosi e con tempi di certificazione più lungi. Il dubbio degli investigatori di Bruxelles è anche un altro: fatte ormai salve le ridotte capacità filtranti delle mascherine, vogliono capire se la responsabilità sia della Universalcert, o dei produttori che mettono sul mercato merce diversa da quella certificata.
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