LA SENTENZA
«Miogni vespasiano»: assolti
Diritto di critica sindacale: formula piena per sette agenti della polizia penitenziaria

Definire il carcere dei Miogni «Il vespasiano d’Italia» non è reato se a dirlo è un sindacalista della polizia penitenziaria che esercita un legittimo diritto di critica nell’ambito delle sue funzioni.
Il giudice ha così assolto, «Perché il fatto non sussiste», sia il dirigente del Cosp (Coordinamento sindacale penitenziario) che nel 2014 scrisse su Facebook il post incriminato, sia i sei agenti che misero il like sotto a quell’affermazione oppure commentarono con frasi a sostegno di questa tesi. Affermazione per la quale fu aperto, dopo la denunzia della direzione del carcere, un fascicolo per diffamazione a mezzo stampa e anche per pubblicazione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico.
Reato, il secondo, ipotizzato perché il post gettava pesanti ombre sulla sicurezza e l’igiene all’interno della casa circondariale, al punto che qualcuno arrivò a chiederne la chiusura.
Ma per entrambe le imputazioni è arrivata l’assoluzione con formula piena, come chiesto dal collegio difensivo: peraltro, nella precedente udienza, anche il pubblico ministero aveva proposto l’assoluzione per diffamazione, mentre per il secondo reato era stata proposta l’estinzione per prescrizione. Un ottavo agente aveva scelto il giudizio abbreviato e nell’ottobre 2018 era stato assolto anche lui, ma con la formula «per non aver commesso il fatto».
Secondo la difesa, quelle dichiarazioni non erano denigratorie, ma andavano inserite nell’ambito del legittimo diritto di critica. Alcuni degli imputati che misero il pollice alzato sotto il post, peraltro, erano rappresentanti sindacali che da tempo denunciavano le condizioni del carcere di Varese, che in quegli anni era al centro di forti polemiche, tanto che del degrado arrivò a occuparsi anche la trasmissione televisiva Le Iene.
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