MORTE DI MARISA MALDERA
Processo “sbagliato”, Piccolomo all’attacco
Il difensore dell’imputato deposita la richiesta di appello e punta ad azzerare la condanna all’ergastolo in primo grado

«Il processo bis a Giuseppe Piccolomo per la morte della moglie, Marisa Maldera, non si sarebbe dovuto fare anche perché mancano i presupposti giuridico-processuali».
Depositato alla cancelleria della prima Corte d’assise d’appello di Milano appena un giorno prima della scadenza dei termini, l’atto d’appello dell’avvocato Stefano Bruno, difensore di Piccolomo, punta al bersaglio grosso, ovvero ad azzerare la condanna all’ergastolo per il 67enne ex imbianchino e ristoratore originario della Puglia, accusato di aver ucciso la moglie, all’epoca 48enne, dopo aver inscenato a Caravate un incidente stradale la sera del 20 febbraio di 16 anni fa.
«Perché dico che questo processo non doveva nemmeno incominciare? Perché la riapertura delle indagini dell’allora sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda (dopo una precedente richiesta di archiviazione del pm varesino Luca Petrucci) è stata autorizzata in virtù di un decreto apparentemente motivato, giacché in realtà appare privo di motivazioni. Inoltre, le stesse indagini sono poi proseguite in virtù di un provvedimento di avocazione totalmente privo di motivazione», argomenta il legale, i cui motivi di appello contro la sentenza del gennaio scorso della Corte d’assise di Varese hanno riempito 138 pagine.
«Naturalmente nel mio ricorso in appello ho analizzato in maniera ancora più analitica le problematiche relative al “ne bis in idem”, il principio giuridico per il quale una persona non può essere giudicata due volte per il medesimo fatto», ha aggiunto l’avvocato di Piccolomo, che sta già scontando un altro ergastolo per il delitto delle mani mozzate e cioè l’omicidio della pensionata di Cocquio Trevisago Carla Molinari, commesso il 5 novembre 2009. Premesso che non è cambiato il fatto (la morte della prima moglie), ma solo la sua qualificazione giuridica - sostiene il legale -, per quel fatto Piccolomo sarebbe già stato ritenuto responsabile solo per colpa e non per dolo.
«Con il mio ricorso contesto punto su punto le risultanze probatorie che affondano le radici nella ricostruzione della Procura Generale di Milano», insiste l’avvocato Bruno. Che Piccolomo, poco prima dell’orario di chiusura della pizzeria-ristorante di Caravate gestito proprio assieme alla consorte, le avrebbe “somministrato” di nascosto un non meglio precisato numero di gocce di benzodiazepina, dopodiché l’avrebbe convinta a recarsi con la macchina di famiglia a Varese per bere qualcosa. Strada facendo, però, avrebbe parcheggiato il veicolo in mezzo a un campo; quindi, avrebbe versato una tanica di benzina, per poi dare fuoco all’auto facendo morire carbonizzata Marisa.
Il tutto per una polizza vita di 100 mila euro di cui è stato l’unico beneficiario.
© Riproduzione Riservata