LA SENTENZA
Sesso con la nipote, condannato
L’uomo confessò i rapporti con la ragazzina quindicenne all’epoca dei fatti, negando però di averla violentata

Fece sesso con la nipote, non in una sola occasione, ma più volte.
Una relazione che l’imputato, un uomo di 34 anni residente in un paese dell’alto Varesotto fino all’estate del 2018 (quando fu arrestato dalla Squadra Mobile), ha ammesso anche nell’aula del Tribunale di Varese. Sostenendo però che la ragazzina fosse consenziente.
Una relazione per cui l’imputato ieri, martedì 25 febbraio, è stato condannato a sette anni di reclusione per il reato di atti sessuali con minorenne.
Disposta anche l’interdizione perpetua dei pubblici uffici e quella legale per la stessa durata della pena. Il Tribunale (presidente Orazio Muscato, a latere Rossana Basile e Alessandra Mannino) ha riconosciuto il risarcimento del danno soltanto alla ragazza (costituitasi parte civile con l’avvocato Gianluca Vissi): l’importo esatto sarà quantificato in una causa civile, per ora è stata stabilita una provvisionale di trentamila euro.
Nessun indennizzo, invece, è stato riconosciuto ai genitori della giovane, contro i quali aveva puntato il dito, nella discussione, l’avvocato difensore Furio Artoni bollandoli, di fatto, come irresponsabili. Perché, pur avendo scoperto la lettera in cui la figlia rivelava ciò che lo zio la costringeva a fare, consentirono comunque che la ragazza continuasse a uscire con il fratello del padre o restasse da sola con lui.
«Questa condanna pesa come un macigno anche su di loro», ha commentato il difensore dopo la sentenza, annunciando ricorso in appello.
Il pubblico ministero Anna Zini aveva proposto una condanna a 14 anni di carcere. L’arringa difensiva s’era invece conclusa con una richiesta di assoluzione, sostenuta dalla tesi che la ragazza, quattordicenne, fosse consenziente. E che non fosse configurabile neppure l’aggravante che fa salire l’età del consenso da 14 a 16 anni, cioè il fatto che la giovane fosse affidata allo zio “per vigilanza o custodia”: «I genitori erano lì con loro, nella stessa casa».
Aggravante che i giudici hanno invece ritenuto equivalente alle attenuanti generiche, arrivando così a dimezzare la pena rispetto alla richiesta del pm.
Nella precedente udienza l’imputato (detenuto, era in aula con la mascherina prevista dalle misure di protezione dal Coronavirus) aveva ammesso: «Lo so è vergognoso ciò che facevo con mia nipote. Sapevamo di sbagliare, dopo andavamo a confessarci. Ma non c’è mai stata violenza. Da un bacio siamo passati a toccarci, alla masturbazione e infine al sesso orale. Ma non abbiamo mai avuto rapporti completi. È ignobile, è vero, ma io da bambino ho subito le stesse cose da un sacerdote».
Già dopo l’arresto aveva parzialmente confessato, dichiarando che il “rapporto proibito” era iniziato nel 2013. Salvo poi correggersi durante il dibattimento, riportando i fatti al periodo 2016/2107, quando la ragazza aveva 15 anni.
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