INSEGNA STORICA
Si chiude l’era del Caffè Zamberletti
La proprietaria: «Non ho ancora deciso a chi cederò l’attività. Ma vorrei che restasse così»

Tra i bar che a Varese non hanno ancora riaperto dopo il lockdown, ce n’è uno la cui chiusura fa molto più rumore di altri. È il Caffè Zamberletti, la rinomata pasticceria di corso Matteotti, un locale che ha fatto la storia di Varese e in cui è passata la storia di Varese e dell’Italia. Ma la cui storia è destinata a fermarsi al 2020.
La proprietaria, Angela Zamberletti, ha infatti deciso di non riaprire più. È lei stessa a confermare al telefono la voce che da qualche giorno circola in città: «Ho preso questa decisione, a malincuore. Ma non ho ancora deciso quando metterò la parola fine a quest’attività iniziata quasi 66 anni fa, né a chi la cederò. Vorrei che rimanesse “il Caffè”, così com’è. Sono sicura che se qualcuno prenderà il mio posto, non lo cambierà: è troppo bello così».
Una scelta già comunicata ai suoi otto dipendenti, ma che - assicura la signora Angela - non è legata all’emergenza coronavirus, o almeno non solo a questo momento storico: «Ci stavo già pensando da tempo, da prima di Pasqua».
Un’avventura iniziata in corso Matteotti il 13 dicembre del 1954 dal padre Antonio (da tutti conosciuto come Carlo), il “maestro pasticcere” creatore del Dolce Varese, che nel 1939 aveva aperto il primo laboratorio in via Como e poi in via Manzoni.
«Il giorno del taglio del nastro - ricordava qualche anno fa la signora Angela - era la festa di Santa Lucia, l’onomastico di mia madre». Ha ancora impresse nella mente la meraviglia e la sorpresa dei varesini per quegli arredi, all’epoca considerati ultramoderni. Tutti incantati davanti agli affreschi del pittore futurista Cesare Andreoni e a quel bancone ricco di paste dal sapore unico. E poi tutti ad affollare i tavolini per gustarsi quelle dolci creazioni.
A lungo sede della Pallacanestro Varese, il Caffè Zamberletti poteva vantare tra i clienti personaggi del calibro di Montanari, Frattini, De Bernardi, gli attori Ugo Tognazzi e Renato Pozzetto, politici come Giovanni Spadolini, il cantautore genovese Bruno Lauzi. Ma soprattutto Piero Chiara e Guido Morselli, «diversi sia come scrittori, sia nei loro comportamenti», così li ricorda Angela.
Aperto e affabile lo scrittore di Luino, che «si sedeva, levava il cappello, abbassava gli occhiali e leggeva il giornale osservando il passaggio come se dovesse prendere spunti». Mentre Morselli, che aveva l’abitudine di ordinare un tè e un pasticcino a metà pomeriggio, era «personaggio più chiuso e riservato». Dopo di loro, più recentemente, grazie agli incontri organizzati da Bruno Belli e da Mauro Della Porta Raffo, nel locale di corso Matteotti hanno fatto tappa decine di scrittori, giornalisti, personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo. Altre pagine memorabili di una storia che finisce qui.
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