CORONAVIRUS
«Vietano i tamponi dai privati: è follia»
Marco Reguzzoni chiede di attivare decine di laboratori già pronti e se la prende con Roma

«Potevamo salvare questo Paese dalla devastazione, in teoria potremmo ancora contenere i danni provocati dal coronavirus e dalla sua cattiva gestione se permettessimo ai centri privati di aiutarci in un’esecuzione massiccia dei tamponi. Ma se si lasciano vincere le solite logiche romane, allora è davvero la fine».
Mentre il personale dell’ospedale di Circolo di Varese lancia l’allarme mascherine,
Marco Reguzzoni, oggi imprenditore ma con un passato da onorevole e presidente della Provincia (ai tempi della sua lunga militanza leghista), è un fiume in piena sulla questione tamponi. Per un carattere come il suo, la costrizione domestica non è facile da accettare.
Lui in questi giorni ha letto approfonditamente decreti e circolari e ha parlato con tante persone che si occupano di biologia medica. Il risultato è tradotto in uno sfogo durissimo, «Perché in Italia - dice - ci ritroviamo imprigionati per colpa di una scelta assurda, quella cioè di non permettere ancora ai laboratori privati di effettuare i tamponi. Qualche Regione ha iniziato a sbloccare la situazione, il governatore Zaia in Veneto vuol fare lo stesso, quindi non si perda più tempo da nessuna parte e si faccia la cosa più logica e facile del mondo». L’idea, ammette, «non è mia, ma viene dalla Cina e soprattutto dalla Corea, e comunque diciamo che viene anche dal buon senso. Anche il Lombardia siamo pieni di realtà (solo nella mia Busto Arsizio ne conosco due) che, con gli stessi macchinari con cui misurano la glicemia, solo inserendo degli appositi reagenti, potrebbero fare i test sul coronavirus, sfornando migliaia di risultati al giorno. Ma da Roma hanno deciso che non si può, che li fanno solo quelli che dicono loro, con la scusa di non avere doppioni e di evitare che emergano troppi falsi positivi». Per il bustocco Reguzzoni sono «motivazioni futili, risibili, figlie della solita mentalità secondo cui si accentra tutto, facendo lavorare solo i laboratori collegati all’Istituto Superiore di Sanità. Così si procede lentamente, con tempi d’attesa enormi, persino respingendo le richieste di decine di migliaia di cittadini lasciati a casa con la febbre e le paure, costringendo altresì la nostra economia a stare ferma e ad entrare in crisi».
L’idea dell’ex capogruppo alla Camera è che «In questa situazione drammatica bisognava, e bisogna ancora, fare i tamponi a tutti quanti, facendosi aiutare dai privati. In dieci giorni avremmo finito la mappatura, sapremmo chi deve stare in quarantena e chi no, libereremmo la popolazione attiva per farla tornare a lavorare subito e in sicurezza, riapriremmo le attività di ogni genere, al massimo prolungando precauzionalmente le limitazioni solo ai ragazzini e agli anziani».
Neppure la questione dei costi eccessivi regge ai suoi occhi: «Non regge perché non è vera. Infatti, anche esagerando, un tampone può costare al massimo 10 euro e quindi con 100 milioni faremmo il test a tutti i lombardi, in pratica un’inezia rispetto ai danni che si stanno causando. Con 600 milioni si farebbero le verifiche in tutta Italia, spendendo la stessa cifra che hanno appena e di nuovo versato ad Alitalia. Non c’è alcuna logica per cui non lo si sia ancora fatto».
Certo il problema di un margine di falsi positivi esisterebbe, «ma stiamo parlando di una percentuale piccola, volendola gonfiare parliamo del 10 per cento. E allora mi chiedo: in questo disastro non è meglio rischiare di chiudere in casa due settimane una piccola parte di sfortunati che dovessero risultare positivi pur non essendolo, piuttosto che imbrigliare l’Italia intera e condannare le nostre aziende a morte?». Che poi il già deputato è certo che «i tamponi oggi li faremmo anche pagando 200 euro privatamente se si potesse. Io andrei di corsa e, se risultassi negativo, potrei finalmente anche solo andare a trovare i miei genitori. Invece hanno deciso che non si può, senza la minima ragione».
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