Cina
Rivoluzione culturale, Cina non commemora ma non dimentica
Il 16 maggio mezzo secolo dalla storica "circolare" emessa da Mao
Roma, 11 mag. (askanews) - Consultando in questi giorni i siti internet della stampa ufficiale cinese, brilla per la sua assenza un anniversario tondo, che pure ha un'importanza cruciale per la storia della Repubblica popolare: la Rivoluzione culturale. Il 16 maggio, infatti, cade il 50esimo anniversario dell'inizio di un decennio che ha trascinato il paese più popoloso del mondo in una spirale di confusione e violenza da cui si è ripreso solo dopo molti anni e che ancora oggi ha ricadute.
Era il 16 maggio 1966 quando l'ormai anziano leader Mao Zedong, che non aveva condiviso la destalinizzazione del mondo comunista voluta dal leader sovietico Nikita Krusciov, lanciò una "circolare" nella quale denunciava l'infiltrazione del Partito comunista di elementi revisionisti controrivoluzionari i quali volevano creare un regime borghese. Passarono pochi giorni e la stampa ufficiale lanciò l'ordine di colpire le antiche abitudini della società cinese.
Fu una chiamata alle armi per i giovani che costituirono unità di "Guardie rosse in scuole e università per aggredire i "quattro vecchiumi": la vecchie idee, i vecchi costumi, le vecchie abitudini e la vecchia cultura. Partirono aggressioni e violenze. Scuole, chiese, templi e molti centri di cultura furono chiusi. Bande di giovani vestiti "alla Mao", tutti sistematicamente in possesso del "Libretto rosso" coi pensieri del Grande Timoniere, cominciarono ad attaccare gli elementi borghesi nelle città - bastava essere vestiti nella maniera sbagliata - umiliandoli, picchiandoli e nei casi peggiori uccidendoli. Ne pagarono le spese accademici, intellettuali, funzionari ed esponenti del partito, anche di altissimo livello, che furono spediti al confino o uccisi. In ogni città, in ogni unità produttiva, venivano svolte sessioni dell'umiliante liturgia dell'autocritica.
La "Grande rivoluzione proletaria culturale", come fu chiamata, fu un colpo di coda di Mao che, con l'aiuto di altri alti esponenti del partito come Lin Biao, cercò di riprendere l'abbrivio nella feroce lotta di potere interna al partito di quegli anni. Un'esplosione di energia generazionale, che il Grande Timoniere innescò alleandosi in un primo momento con le fasce più giovani dell'intellighentsia, per poi spedirle in massa a rieducarsi nelle campagne. Fu anche un momento di enorme popolarità per il leader cinese, non solo entro i confini della Repubblica popolare, ma anche nel resto del mondo, dove le fasce intellettuali di sinistra si spesero in elogi per le mosse del Grande Timoniere. Fiorirono in Occidente gruppi maoisti spesso in diretta concorrenza con i movimenti filosovietici e comunisti tradizionali, molto attivi nei movimenti studenteschi giovanili attorno al 1968. In Italia una sigla conosciuta era "Servire il popolo".
Nel 1969 lo stesso Mao aveva ormai capito che la Rivoluzione culturale si era trasformata in un "terrore rosso" ed era ormai fuori controllo. Fece leva sull'Esercito di liberazione popolare per calmare gli spiriti bollenti delle Guardie rosse, instaurando di fatto un regime autoritario di stampo militare. Milioni di giovani cittadini furono spediti nella profonda Cina rurale per "rieducarsi", mentre il leader trasformava il paese in una specie di dittatura. La situazione tornò così a una relativa quiete, anche se la Rivoluzione culturale viene considerata chiusa solo nel 1976, un decennio dopo il suo inizio, alla morte del Grande Timoniere. Solo allora il Partito poté ristabilire appieno la sua autorità, addossando le colpe del decennio precedente alla cosiddetta "Banda dei quattro" (la vedova di Mao Jiang Qing, Zhang Chunqiao, Yao Wenyuan e Wang Hongwen), che fu processata e condannata, salvando la faccia Grande Timoniere. Al potere ritornarono gli elementi contro i quali Mao aveva agito. Tra questi Deng Xiaoping, che era stato epurato, e che rientrò dal confino con la forza di avviare quel processo di riforma di stampo capitalistico ("col volto cinese") dal quale è nata la Cina contemporanea.
Il numero di vittime prodotto dalla Rivoluzione culturale, comprensivo del disastro economico che ne conseguì, è difficile da stabilire. Alcuni storici parlano di una cifra tra il mezzo milione e i due milioni. Gli espisodi più gravi, compresi casi di uccisioni di massa e cannibalismo, si ebbero nella provincia del Guangxi e nella Mongolia interna. Le sofferenze umane, prima dei membri del partito e degli accademici attaccati dalle Guardie rosse, poi degli stessi studenti inviati a rieducarsi nelle campagne dove la vita era sotto il limite della sussistenza, hanno prodotto una ricchissima pubblicistica, narrativa e cinematografia.
Rimane ancora una certa eredità politica di quel periodo in Cina, con i periodici ritorni alla figura di Mao da parte della dirigenza cinese, e un'eco lontana dell'attacco agli esponenti "borghesi" del partito si può percepire anche nella dura campagna contro la corruzione che l'attuale presidente Xi Jinping ha lanciato dopo essere salito al potere.
Si tratta, comunque, di una sfumatura, perché in realtà complessivamente rimane un giudizio negativo nei confronti della Rivoluzione culturale, che continua a essere apprezzata solo da quale nostalgico indicato come radicale di sinistra. Recentemente - ha raccontato il Global Times, un sito legato al Pcc - s'è tenuto un concerto presso la Grande Sala del Popolo per commemorare la Rivoluzione culturale.
Zhang Hongliang, considerato un leader della nuova sinistra radicale cinese, in un articolo scritto in seguito all'espulsione dal Pcc del ricco immobiliarista Ren Zhiqiang, ha scritto: "Pare che noi siamo stati marginalizzati o soppressi. Tuttavia la punizione di Ren e l'adozione recente di una legge sulle Ong straniere mostrano che la leadership centrale sta ascoltando i nostri appelli". E ha chiesto l'avvio di una campagna per eliminare gli "hanjian", cioè i "traditori" liberali e di destra che hanno raggiunto posizioni di prominenza e costituiscono una minaccia per il Partito. Per utilizzare una formula di Alberto Moravia, un ammiratore all'epoca della Rivoluzione culturale, utilizzava in un altro senso, quel decennio rimane tuttora un "convitato di pietra".
© Riproduzione Riservata