CORONAVIRUS
«50 sfumature di quarantena»
La psicologa e psicoterapeuta varesina Laura Rolih esamina le difficoltà, le paure, i disturbi e le opportunità di questo periodo (inedito) di vita
La psicologa e psicoterapeuta varesina, Laura Rolih, esamina questo periodo di emergenza sanitaria, evidenziando le paure, le difficoltà ma anche le nuove opportunità derivanti dalla quarantena. «Cinquanta sfumature di quarantena: quale futuro?» è il titolo-premessa.
Ecco la riflessione: «Questo periodo di lockdown è stato per tutti un’esperienza nuova che si è declinata in moltissime varianti. Ad una fase iniziale contradditoria e confusionale dove ci siamo alternati tra messaggi allarmistici e rassicuranti, l’Italia si è poi unita nel coro comune >stoacasa e con impegno e risorse si è apprestata ad affrontare questo tempo. Siamo partiti - spiega Laura Rolih - come spesso accade quando c’è l’adrenalina della novità, per quanto spaventosa, in uno stato di iper-attivazione, realizzando scenette TikTok e veri e propri concerti sui balconi, nell’ottica positiva dell’ “andrà tutto bene”, facilitata della percezione di un tempo determinato di sacrifici, che sarebbe presto finito se tutti insieme avessimo remato per il bene comune». «Abbiamo sfruttato il tempo ritrovato per ripulire le nostre case, fare ordine e selezione negli spazi domestici, nei nostri bisogni, nelle nostre priorità. Di parallelo ci siamo trovati a scoprire che ordine si era fatto anche nell’animo e nel cuore, una scrematura delle relazioni interpersonali, un ritorno all’essenziale, imparando a riconoscerlo».
«Tante cose prima apparentemente indispensabili hanno perso la loro urgenza e ci siamo scoperti capaci di.... non andare dal parrucchiere, dall’estetista, a fare shopping, al ristorante, in palestra.. L’accesso agli studi di psicologia, di fisioterapia, agli studi dentistici e medici è stato limitato solo alle urgenze. Il Pronto soccorso stesso, come hanno rilevato i medici, si è svuotato di tutti quegli accessi spesso ingiustificati che producevano ingolfamento. Ci è stato imposto, è vero, ma questo obbligo di rinuncia ha portato a capire quanto possano cambiare le priorità quando qualcosa di più grande accade, quando ci sentiamo preda di ansia e paura. Scrive Umberto Galimberti «Il cambiamento imposto dal coronavirus sembra una sofferenza difficile da sopportare, anche se l’umanità ha superato di molto peggio. Succede perché ci troviamo nella condizione in cui tutta la nostra modernità, la tutela tecnologica, la globalizzazione, il mercato, insomma tutto ciò di cui
andiamo vantandoci, ciò che in sintesi chiamiamo progresso, si trova improvvisamente a che fare con la semplicità dell’esistenza umana”. Poi questa prima fase, che inizialmente si pensava piuttosto breve per cui siamo partiti con tutta la grinta in nostro possesso, è divenuta lunga, sempre più lunga ed incerta e di conseguenza faticosa e spaventante».
«Siamo partiti per uno scatto sui 100 metri e ci siamo trovati a fare una maratona, qualcuno ha scritto. Il ventaglio di reazioni emotive e sintomatologiche ha iniziato ad ampliarsi enormemente e ciascuno ha cercato di fare i conti con le energie rimaste, quelle che ancora sarebbero servite, e soprattutto con una dimensione di incertezza e imprevedibilità che rende difficile qualsiasi pianificazione. Certo è che, ad oggi, che siamo ai margini della fase acuta, non è possibile trarre conclusioni dall’osservazione delle reazioni in corso. Reazioni che sono inoltre estremamente differenti per ciascuno di noi, poiché questo lockdown ha avuto risvolti molto differenti da persona a persona».
«Ci sono quarantene in solitaria - aggiunge la psicologa - che per alcuni sono state oasi di pace e di sano egoismo mentre per altri hanno aperto spazi di vuoto, di silenzio, di angoscia; una stasi imposta che ha scoperchiato il vaso di Pandora obbligando all’incontro con i propri fantasmi interiori, da cui si cercava di sfuggire, ma che inesorabilmente, proprio come si canta in Samarcanda, ci aspettano dove si è costretti a sostare. L’incontro con la solitudine, con le inquietudini che nel silenzio si fanno strada, con la nostra dimensione più autentica spogliata di ruoli e apparenze, può per qualcuno non essere facile (ci si trova in balia degli attacchi di panico) sebbene sempre una grande opportunità».
«Per altri ancora la quarantena ha convalidato e legittimato la possibilità di rinchiudersi nella propria zona di comfort da cui si fatica ad uscire, colludendo con timori e ansie sociali e autorizzando proprio quel ritiro sociale che si tentava di vincere (e si grida già al rischio sindrome di Hikikomori per molti adolescenti). Ci sono famiglie che hanno avuto un’opportunità di riviversi “insieme”, sperimentando una convivenza no-stop di cui forse non si aveva mai avuta esperienza e il cui risultato dipende da molteplici variabili, non ultime quelle concrete relative all’ampiezza dello spazio domestico, alla possibilità di preservare spazi e tempi individuali, di avere un balcone o un giardino piuttosto che una sovrapposizione costante di spazi vitali. Bambini che hanno goduto delle presenza di genitori amorevoli e creativi dalle mille risorse, che sono riusciti a trasfigurare questo tempo rendendolo magico e protettivo, un pò come nel film “la vita è bella”, e che quindi si ricorderanno questo periodo come pura gioia. E bimbi che si sono trovati schiacciati dai limiti e dalle fatiche emotive di famiglie deprivate e deprivanti. E tra i due estremi, un mondo di bambini che ha costruito la propria narrativa di questo “coronavirus” come vediamo filmata e condivisa dai genitori con tenerezza sui social, ma che già delinea il percorso delle loro ansie e paure, che magari in futuro andranno aiutati a superare».
«Ci sono mamme (e anche papà) che hanno continuato il loro lavoro a tempo pieno, in smartworking, divenendo simultaneamente anche baby sitter, maestre e colf, e tutto questo senza poterlo scegliere e senza soluzione di continuità per cui, più che un tempo di pausa e pulizia, è divenuto un tempo di “agiti” senza pensiero e di alienazione da sé. Ci sono persone - prosegue Laura Rolih - che hanno interrotto completamente la loro attività professionale, dall’oggi al domani si sono trovate senza alcun introito con affitti da pagare e mutui aperti, e sono inevitabilmente appesantite da preoccupazioni economiche divoranti spesso senza risposta e stanno facendo esperienza nuda e cruda dell’impotenza, del non controllo, della perdita di certezze».
«Ci sono altri innumerevoli mondi, gli anziani in solitudine, i nonni che hanno perso il loro ruolo nell’impossibilità di accudire i nipoti, le situazioni di disabilità fisica e psichica lasciate a totale carico delle famiglie, le violenze domestiche perpetrate nell’obbligo della convivenza. Difficile nominarle tutte, le possibili sfumature più o meno crude e violente di questa quarantena».
«E infine c’è il mondo degli operatori sanitari e dei malati ospedalizzati o dei parenti prossimi di persone malate o decedute. Questa fetta di popolazione ha una sua specifica esperienza, con caratteristiche e specificità uniche non comparabili con le precedenti. Chi si è trovato fagocitato nell’occhio del ciclone, da operatore o paziente, si è trovato esposto a traumatizzazioni dirette e vicarie ripetute e frequenti che avranno necessariamente bisogno di un tempo amorevole di metabolizzazione. Gli operatori hanno dalla loro solo la grande risorsa del sentirsi utili e necessari, che in parte riduce la traumatizzazione, ma che in questa situazione così incerta e sconosciuta, cozza inevitabilmente con l’impotenza di morti in-evitabili che restano domande aperte».
«Per tutti noi vale l’indicazione di percepirsi il più possibile come soggetti operanti, poiché “agire” in situazioni traumatiche concorre alla riduzione dell’impatto traumatico stesso, rispetto al vissuto di chi resta impotente e immobile. Per questo è stato consigliato di intendere i propri comportamenti protettivi ed autoprotettivi come una modalità di azione, un “faccio qualcosa per” riducendo in parte il senso di impotenza e non controllo ed aumentando la percezione di autoefficacia».
«Ma cosa accadrà quando tutto sarà finito? Che futuro ci aspetta? Sono queste le domande più frequenti. Ogni giorno leggiamo articoli che delineano scenari più o meno catastrofici per il prossimo futuro: boom di insonnia e ansia da lockdown, depressione ‘da quarantena e Covid-19’, disturbi post traumatici da stress, regressione nei bambini, aumento delle fobie sociali e delle paure ipocondriache. Tutti noi abbiamo più cortisolo in circolo, siamo attivati perché c’è un pericolo reale nella nostra vita e il nostro sistema neurovegetativo deve agire. Molte delle razioni sintomatiche sono parte di un processo in corso, inevitabili e congrue, non sono necessariamente segno di traumatizzazione residua o fragilità psichica».
«La psicologia dell’emergenza ci insegna che dopo aver vissuto un evento traumatico il nostro organismo e il nostro cervello vanno incontro ad una serie di reazioni di stress fisiologiche, che nel 70-80% dei casi tendono a risolversi naturalmente senza un intervento specialistico. L’innato meccanismo di elaborazione delle informazioni presente nel cervello di ognuno di noi riesce a integrare le informazioni relative quell’evento, all’interno delle reti mnestiche del nostro cervello, rendendolo “digerito”, ricollocato in modo adattivo all’interno della nostra capacità di narrare l’accaduto. I sintomi rientrano e la persona torna alla propria vita».
«Talvolta accade che alcune persone continuino a soffrire per un evento traumatico anche a distanza di moltissimo tempo dall’evento stesso. Restano nelle sensazioni angosciose e non riescono a tornare ad una vita soddisfacente dal punto di vista lavorativo e relazionale. Questo quadro sintomatologico può arrivare a definire la presenza di un Disturbo da Stress Post-Traumatico, rispetto al quale può essere necessario rivolgersi ad uno specialista».
«Chi riuscirà ad uscire indenne da questo periodo? Chi avrà bisogno di un supporto? Qualsiasi cosa accadrà, sia chiaro, non è una colpa. La capacità di reagire al trauma dipende in parte da noi, dalla nostra consapevolezza e dalle risorse cha la vita ci ha permesso di sviluppare ma in molta parte anche dalla nostra storia, dal nostro vissuto, dalla presenza di traumatizzazioni precedenti, dalla nostra capacità di resilienza».
«Resilienza, parola ora un po’ inflazionata, che è l’appiglio per risalire dal baratro, è quella capacità che ci permette di integrare nelle nostre reti neurali l’esperienza traumatica e attraversare i sintomi senza restarne prigionieri. Non esiste di fronte alla minaccia una reazione normale o giusta, l’importante e essereconsapevoli delle nostre risposte di fronte al pericolo così da padroneggiarle. La differenza sta nella loro intensità, che provoca l’uscita dalla nostra finestra di tolleranza (nella direzione dell’iper o dell’ipo-attivazione, con reazioni fisiche ed emotive opposte), all’interno della quale possiamo sperimentare queste emozioni continuando a sentici orientati, presenti, capaci di elaborare, in grado di usare il pensiero e chiedere aiuto. Imparare a rimodularsi è dunque una grande competenza che si può rinforzare: ascoltarsi, connettersi e scegliere. In questo processo è d’aiuto la possibilità di meditare, praticare yoga o training cerebrali (neurofeedback) o trovare forme personali per allentare la tensione e favorire la consapevolezza».
«Purtroppo molte delle risorse che in altri casi ci aiuterebbero in questo tentativo di modulazione, sono attualmente inutilizzabili: il coinvolgimento sociale, le relazioni di amicizia, la dimensione di accadimento reciproco sono potenti fattori protettivi rispetto alla paura e al pericolo. La relazione è indispensabile alla salute mentale e alla sensazione di sicurezza e mai come in questo periodo ci stiamo rendendo conto di quanto ne abbiamo bisogno, di quanto siamo esseri sociali e di quanto tutte le connessioni virtuali che possiamo fare, ci aiutino si, ma non ci bastano. Poiché arriva urgente il bisogno fisico dell’abbraccio, del guardarsi negli occhi con una stretta di mano, della condivisione di un tempo/spazio insieme. Mai come ora sentiamo la sofferenza del dover percepire tutto ciò come pericoloso poiché veicolo primario di contagio e di sentire la rigidità del corpo quando qualcuno si avvicina oltre il fatidico metro di distanza».
«E veniamo al futuro. Come affrontarlo? Secondo la psicologia dell’emergenza dopo le fasi iniziali di shock ed impatto emotivo del trauma (che hanno accompagnato la fase 1 di questo lockdown ) si sviluppano progressivamente strategie di coping, in cui le persone cercano di ritrovare un nuovo equilibrio dopo l’accaduto. La mente si attiva per capire cosa è successo, per darne un significato e rielaborare, sia emotivamente che cognitivamente, l’evento, arrivando così alla fase conclusiva di Accettazione/Risoluzione (questo accadrà mentre passeremo attraverso la fase 2, di graduale allentamento delle misure, e la fase 3, considerata l’uscita effettiva dall’emergenza). Per affrontare al meglio questo processo allora è importante affiancare ad una disposizione positiva di pensiero che coltiva la speranza e la fiducia anche una dimensione forte di scelta, di empowerment, che ci restituirà la possibilità di “significare” quello che è accaduto».
«La speranza e la fiducia infatti, che pure restano spinte auspicabili e potenti, sono dimensioni - osserva la psicologa varesina - che ci trascendono e non dipendono da noi. Bene sperare nel vaccino, sperare nell’andrà tutto bene.. ma si tratta di forze poco governabili poiché hanno un locus of control esterno. È dunque importante aprirci al futuro ripartendo anche da una dimensione di controllo interna, che possiamo ritrovare nella “scelta”, condizione psichica profondamente diversa. Posso aumentare la mia percezione di autoefficacia pensando all’oggi e scegliendo il mio domani, nell’ambito di ciò in cui posso agire. Questo processo ci lascerà inevitabilmente una realtà nuova, in cui scopriremo come molte cose avranno acquisito un differente rapporto figura-sfondo.. qualcosa sarà stato traslato in primo piano, qualcos’altro sarà slittato nello sfondo, perdendo i connotati. Da qui dovremo ripartire, intercettando i nuovi bisogni e desideri che verranno a delinearsi nella crisi sociale post-Covid che tutti intuiamo e temiamo. La parola “crisi” scritta in cinese è composta di due caratteri: uno rappresenta il pericolo e l’altro l’opportunità. Occorrerà muoversi tra questi due estremi per far ripartire gli ingranaggi del mondo economico e della vita sociale e di relazione. Volendo allargare lo sguardo al mondo del lavoro, per molte professioni sarà necessaria una rimodulazione dell’offerta. La volontà e il bisogno di ripartire saranno forti, ma la clientela sarà diversa, avrà sensibilità e preoccupazioni differenti. Serviranno proposte rassicuranti, che non riattivino allerta e pericolo; solo così potranno essere percepite come opportunità.
«La sfida sarà quella di riuscire ad offrire servizi realmente centrati sui bisogni, e quindi più personalizzati, alla luce del fatto che anche le richieste saranno probabilmente più selezionate, pensate, scelte. Le reazioni sociali non saranno univoche : qualcuno vorrà riprendersi la vita a morsi e tornerà o inizierà (per reazione) a fare la cicala, sarà cioè spinto dal principio del piacere, dal carpe diem, dal tentativo di esorcizzare traumi subiti o temuti immergendosi nella leggerezza e nell’avidità sensoriale. In questi casi proposte inerenti all’estetica, al benessere, a tutto ciò che non rientra
nello “strettamente necessario” saranno ben accolte come incarnazione di questo spirito. Qualcun altro, resterà in un’ottica più prudente e dimessa, come insegna la formica, e questo per motivi emotivi, etici o proprio di necessità economica. Si incontreranno di sicuro dimensioni depressive, disinvestimento relazionale, fobie sociali ingabbianti e inibenti, ansie più o meno realistiche di rovina economica che potranno indurre atteggiamenti eccessivamente parsimoniosi».
«Il disturbo post traumatico da stress chiede tempo e cura per risolversi. L’attenzione al risparmio sarà più marcata; inevitabile per chi è stato toccato duramente nel proprio reddito. Trasversalmente e per un tempo indeterminato avremo a che fare con la Paura, che toglierà slancio anche alle più impavide cicale. La diffidenza del vicino, il timore del contatto, il disagio di fronte a propri malesseri fisici che inducono sospetto, saranno ragnatele scure che ci resteranno addosso. La necessità di mantenere comportamenti protettivi e dispositivi di sicurezza (mascherine, guanti, sovrascarpe, barriere in plexiglass, sanificazione costante di tutto ciò che viene toccato..) è uno schiaffo in faccia anche a chi ha fretta di voltare pagina, ed esercita un effetto dissuasorio».
«Ripartire dunque senza fretta - conclude la psicologa varesina - modulandosi sull’ascolto, rassicurando senza forzature, spingendosi solo fin dove si può realmente offrire sicurezza. La paura ha i suoi tempi che andranno di pari passo col passaggio alla fase 3, rispetto a cui si potrà davvero considerare lapossibilità di un ritorno alla normalità anche negli usi e consumi.... compatibilmente con la lezione di vita che ciascuno avrà saputo (speriamo!) introiettare!».
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