LO SPETTACOLO
Saronno, Mina dà voce a chi non ce l’ha
Interpretazione di Tindaro Granata. Appuntamento alle 20.45 al Teatro Pasta

Mina diventa la voce di chi non ce l’ha attraverso l’interpretazione di Tindaro Granata stasera, martedì 3 dicembre, alle 20.45, al Teatro Giuditta Pasta di Saronno. “Vorrei una voce” è uno spettacolo capace di toccare le corde dell’emozione sprofondandosi in una realtà che spesso non si vede e non si ascolta. «L’idea – spiega Granata – nasce con le ragazze detenute di alta sicurezza della casa circondariale di Messina che ha al suo interno un teatro diretto da Daniela Ursino, nell’ambito del progetto “Il Teatro per Sognare”. Quando mi sono trovato a lavorare con loro ho proposto non un classico testo teatrale, ma di mettere in scena l’ultimo concerto di Mina del 23 agosto 1978 alla Bussola».
Perché proprio Mina?
Io sono cresciuto con Mina, la amo follemente, è il mito per eccellenza. Fin da bambino sono affascinato dalle sue canzoni e dalla sua capacitò particolare di interpretare quelle storie che, nel momento in cui le interpreta, diventano qualcosa di magico, non solo sue, ma come se quella interpretazione con quella voce coprisse i vuoti che abbiamo noi. Da ragazzino giocavo, io che non so cantare, a cantare le sue canzoni in playback e mi è venuto naturale, volendo fare una cosa classica, proporre questo “finto concerto” live. Ed è stata una cosa vincente perché ci ha messi tutto sullo stesso piano di lavoro.
Quali i significati di questo percorso?
Lo spettacolo è dedicato a chi non riesce più a sognare. Non sognare significa far morire una parte di sé. Gli esseri umani tutti, almeno in un momento della loro vita, per una delusione che fosse d’amore, personale, lavorativa, si sono trovati a smettere di sognare. E ogni volta che è successo siamo un pochettino morti. Poi c’è la forza di rialzarsi e continuare a vivere, anche se molti non ce la fanno. Quando ho proposto questa idea del concerto la prima cosa che mi è stata detta dalle ragazze è che loro non erano cantanti e da lì il canto in playback che è molto difficile, perché dovevano entrare non nel corpo di un’altra persona, ma mettere il loro corpo in una voce che non è la loro. E questa cosa è stata molto forte, perché anche loro non potevano avere una voce.
Come arriva lei ora sul palco con “Vorrei una voce”?
In carcere abbiamo fatto lo spettacolo, ma poi, a distanza di un paio d’anni, ho detto alle ragazze che volevo raccontare quella storia anche fuori e loro hanno accettato a patto che fossi io a metterlo in scena, non altri che non conoscevano. Io metto in scena le loro storie, racconto la loro esperienza come se il pubblico fosse le detenute: e la storia raccontata diventa queste donne, passando da una storia a un’altra attraverso una canzone di Mina che per tematica o parole o motivi personali racconta e racchiude quella della donna che canta. Io ho esclusivamente ricostruito pezzi delle loro storie, della loro emotività: non si parla del motivo per cui sono in carcere, ma del motivo per cui loro hanno smesso di sognare.
Le narrazioni sono introdotte da canzoni: quali i brani scelti?
Sono cinque canzoni: “Ancora, ancora, ancora”, “L’importante è finire” e “E poi” che fanno parte del live originale dell’ultimo concerto di Mina, dove si sentono anche le voci della gente che le grida “Brava!”. Poi sarò proiettato un video di “Io vivrò senza te” girato alla Bussola nel ‘72, nella sua massima potenza di bellezza e di voce, e infine una versione live molto originale di “Caruso”, la canzone di Lucio Dalla, cantata con un coro.
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