L’INCHIESTA
Abate, nuova imputazione coatta
L’ex pm varesino indagato a Brescia «Costrinse a commettere un reato»
Minaccia per costringere a commettere un reato. È questa l’accusa costata una nuova imputazione coatta, la seconda, disposta dal gip di Brescia per Agostino Abate, ex pubblico ministero a Varese, poi trasferito a Como come giudice civile.
Proprio oggi nel palazzo di giustizia bresciano (competente in caso di reati contestati a magistrati varesini), si è aperta l’udienza preliminare a carico dello stesso Abate per i reati di abuso d’ufficio e favoreggiamento, sempre per gli strascichi del fallimento della clinica La Quiete. Anche in questo caso, tutto nasce dagli esposti dell’imprenditore Sandro Polita: il gip Carlo Bianchetti, nel respingere nel marzo scorso la richiesta di archiviazione, aveva ordinato al pm di formulare l’imputazione per non aver approfondito l’indagine a carico dei fratelli Riva sul mancato pagamento di imposte per oltre tre milioni di euro in quanto titolari della clinica poi ceduta al gruppo Polita.
Nell’udienza di oggi, però, i legali di Polita chiederanno al gup di unire il fascicolo a quello per la nuova accusa formulata due giorni fa dallo stesso Bianchetti.
Gli esposti portarono ad aprire una “indagine sull’indagine”, ipotizzando una sorta di complotto ai danni dello stesso Polita. Un’inchiesta che ha coinvolto una dozzina di persone accusate, a vario titolo, di abuso d’ufficio e associazione per delinquere. Per tutte, il pm bresciano Mauro Leo Tenaglia chiese l’archiviazione.
Nel luglio del 2018 fu archiviata la posizione di due giudici fallimentari e di due curatori di altrettante società. Fu invece deciso un supplemento di indagine per altre 5 posizioni, i due pm varesini che seguirono il caso Quiete, due militari della Guardia di Finanza e un terzo curatore fallimentare, Maria Luisa Marzoli. Per tutti, alla fine, è stata nuovamente richiesta l’archiviazione, con conseguente opposizione di Polita. Adesso il gup, a pochi giorni dall’udienza, ha sciolto la riserva, stabilendo l’archiviazione per tutti, per tutti i reati.
Con una sola eccezione: per lo stesso Abate è stata disposta l’imputazione coatta per il filone dell’hotel Capolago (nel frattempo tornato di proprietà della famiglia di Polita), ipotizzando però non l’abuso d’ufficio ma la “minaccia per costringere qualcuno a commettere un reato”. In particolare, avrebbe costretto Domenico Di Meglio, ritenuto un prestanome dei Polita, a recedere dal contratto da lui stipulato con la curatela del fallimento Ansafin, causando così un danno alla società, e configurando il fatto-reato di infedeltà patrimoniale.
«Per il momento non entro nei dettagli - commenta Abate - Il fatto è semplicemente inesistente, tanto che la Procura di Brescia ha ripetutamente chiesto l’archiviazione. Consapevole di aver fatto solo e tutto il mio dovere, sono sicuro che riuscirò a dimostrare l’infondatezza di queste accuse calunniose fatte da chi è già stato condannato in primo grado per calunnia a Milano».
Un’ordinanza che se per Abate significa l’apertura di un nuovo filone, per Marzoli, presidente dell’Ordine dei commercialisti di Varese (difesa dall’avvocato Fabrizio Piarulli), mette la parola fine a un incubo iniziato con la nomina a curatrice fallimentare del gruppo e che l’ha portata a essere invischiata in quattro procedimenti penali, tutti archiviati.
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