LA RECENSIONE
AC/DC, il rock senz'età
Concerto festa a Imola: i "vecchietti" terribili fanno saltare oltre centomila persone

È solo rock and roll ma ci piace, cantano i Rolling Stones. Vale più che mai anche per gli AC/DC, la storica band australiana che la sera di giovedì 9 luglio ha dato vita a un concerto epocale all’autodromo di Imola. Circa centomila le persone di tutte le età arrivate da ogni dove per assistere all’unica data italiana del tour mondiale di Angus Young e compagni. Le stime ufficiali parlano, in realtà, di 92 mila biglietti venduti, ma il colpo d’occhio faceva dire che i presenti erano anche di più.
Prima degli AC/DC, sul mega palco da 45 metri per 26 allestito al paddock della Rivazza ai piedi della collinetta tanto cara agli appassionati di motori (fino al 2006 qui si correva il gran premio di San Marino di Formula Uno), i Vintage Trouble da Los Angeles con un ottimo rock-blues.
Poi loro, e l’inizio è subito spettacolare: il palco si trasforma in un un mega schermo su cui vengono proiettate le immagini della conquista della Luna e dell’Apollo 11. Una zoomata sui caschi fa capire però che gli astronauti sono proprio gli AC/DC, che appena scendono dal lander scatenano un’eruzione vulcanica: dalla Luna si stacca quindi un meteorite infuocato che si dirige verso la Terra e, al momento dell’impatto, è tutto il palco ad esplodere con fuochi d’artificio e fumogeni. Da cui emerge, un attimo dopo, Angus, 60 anni “suonati”, con la sua Gibson e il vestito da scolaretto, seguito dagli altri: il cantante Brian Johnson, il bassista Cliff Williams, il chitarrista Stevie Young (nipote di Malcolm, assente dal tour per motivi di salute) e il batterista Chris Slade (al posto di Phil Rudd per i noti problemi giudiziari). Ed è il delirio collettivo: attaccano subito con Rock or bust la title track dell’ultimo album. Il pubblico non ha tempo per smaltire l’emozione che subito partono le note di Shoot to thrill, da uno dei più fortunati e apprezzati lavori del gruppo (Back in black, anno 1980, il primo del dopo Bon Scott).
La potenza della sezione ritmica degli AC/DC (la batteria di Slade, il basso di Williams, e la chitarra dell’altro Young) è impressionante e funziona come un metronomo (ad alto voltaggio, naturalmente). Johnson si muove con disinvoltura con in testa l’immancabile coppola e Angus fa il mattatore: ogni volta che accenna il suo celebre passo saltellato è un’ovazione. Nonostante l’anagrafe, si muove come un ragazzino: si sposta continuamente da una parte e dall’altra, gesticola con il pubblico, suona che sembra in trance. Che abbia davvero fatto un patto con il Diavolo?
Quello stesso Diavolo delle atmosfere infernali che ritornano più volte nelle canzoni (macché musica satanica e balle del genere...) e che ha ispirato il gadget ufficiale del tour: un paio di corna rosse che, montate su un cerchietto, si accendono con dei led. Le hanno in tantissimi e, nel buio, è uno spettacolo nello spettacolo.
Lo show fila via in modo impeccabile e molti sono i vecchi hit proposti: Tnt, Hells Bells (con la grande campana che compare appesa sul palco), Back in Black, solo per citarne alcuni, fino a Thunderstruck.
Finale elettrizzante (è il caso di dirlo) con Let there be rock: 20 minuti di assolo di Angus con due finti attacchi epilettici (uno su una piattaforma meccanica che lo innalza sopra tutti). E poi ci sono i bis: Highway to hell e For those about to rock, sulle cui cannonate finali (sparate dai cannoni howitzer che compaiono sopra le casse), s’innesca il finale con i fuochi d’artificio come all’inizio. Due ore tonde tonde di grande spettacolo e poi, tutti a casa, passando dal mega ingorgo che paralizza Imola fino alle 4 del mattino. It’s only rock and roll, but we like it. Lunga vita ai vecchietti del rock.
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