IL LUTTO
Addio a Sangregorio, artista delle forme
Lo scultore s'è spento nella sua Sesto Calende: aveva 88 anni

S'è spento lunedì 8 luglio, a Sesto Calende, dove viveva e operava, lo scultore Giancarlo Sangregorio. Classe 1925, l'artista era milanese d'origine ma sestese d'adozione avendo egli stesso scelto il fiume Ticino quale ambiente prediletto nel quale svolgere la propria intensa attività artistica.
Qui di seguito lo ricordiamo con l'intervista rilasciata alla nostra collega Laura Balduzzi l'1 giugno 2008, in occasione della donazione di venti opere dello stesso Sangregorio al Comune di Somma Lombardo.
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Lungo una strada che si arrampica nei boschi, sopra Sesto Calende, a un certo punto, sulla destra, in un piccolo spiazzo, compaiono sculture alte tre, quattro metri, mentre a sinistra si apre un cancello di legno attraverso il quale si scorge il Ticino che si riversa nel Lago Maggiore. Siamo arrivati.
Qui, in una casa costruita nel 1959 e in cui si è trasferito definitivamente una decina di anni fa, abita Giancarlo Sangregorio, uno degli scultori viventi più quotati, autorevoli, affascinanti.
Un piccolo uomo discreto («Anche Michelangelo era piccolo e magro»), lo sguardo intelligente e nessun vezzo da grande artista. Un piccolo uomo di 83 anni che nella sua vita è stato capace di affrontare enormi lastre di marmo, granito, basalto, alabastro, da giovane nelle cave della val Vigezzo e poi in quelle della Versilia, per scalpellare opere che hanno fatto la storia dell'arte dell'ultimo secolo. E che ora sono qui, nel suo giardino e nella sua casa, oltre che in musei, fondazioni, parchi di tutto il mondo, e da oggi ufficialmente anche nel Municipio e nel Castello di Somma Lombardo, a sedurre chi le guarda.
Che cosa vogliano dire lui lo sa solo per se stesso, che cosa raffigurino lo decide il fruitore, l'importante è entrare in sintonia con loro, toccarle, sentire i materiali, la pietra fredda e il legno caldo, e andare oltre.
ANDARE OLTRE
Lui, Giancarlo Sangregorio , lo ha fatto sempre.
È uno dei pochi che, avendo studiato a Brera nel 1946 con un maestro come Marino Marini e un compagno di corso come Alik Cavaliere, avendo vissuto la Milano di quegli anni (dove fece la sua prima mostra personale nel 1952), avendo conosciuto e frequentato tutti quelli che bisognava conoscere e frequentare, è stato capace di percorrere la sua strada solitaria. Che lo ha portato in Africa e in Nuova Guinea, quando andarci era ancora un'avventura, a scoprire le forme antiche di un'arte primitiva, piena e pura, e farla propria con il gusto di una tecnica-non tecnica.
Classe 1925, una moglie-amica con cui non divide il tetto, ma un po' di vita sì, un cagnolone rosso che gli fa compagnia e insidia le signore, la televisione spenta perché si dimentica in fretta come funziona («Devo chiedere sempre alla figlia dei miei custodi, per me i bottoni sono tutti uguali, tranne quelli delle donne!»), le stanghette degli occhiali verdi attaccate con lo scotch azzurro, un occhio che vede bene e l'altro no, ma gli basta per scorrere almeno i quotidiani («Purtroppo i libri non riesco più a leggerli»), il cuore che di tanto in tanto gli ricorda la sua età... Sangregorio fa fatica a raccontarsi con le parole, ma è tutto lì, nelle opere che affollano la sua casa.
Oltre alle sculture grandi e piccole - un gioco di incastri ed equilibri emozionante, tra cui il bellissimo «Uomo con il gufo» ('48) che lui ama molto -, ci sono le «Impronte» lasciate con grandi "timbri" di ferro e legno su carta di cellulosa (priva di colla), i colori consegnati a un supporto che è una sorta di polistirolo, un tronco di sette metri (in più pezzi) adagiato accanto al letto, molte Maternità raccontate alla sua maniera, essenziale e piena.
LUOGHI E SOLITUDINE
Come si vive in mezzo a tanta arte?
«Sono solo, sono sempre stato solo», dice.
«Ho cominciato da autodidatta, a Milano, ho avuto per tanto tempo uno studio a Milano e uno anche a Parigi, poi sono venuto a Sesto. Ma io mi sento un apolide. Il mio luogo vero non sono le valli, non è il Ticino, non sono le montagne che pure ho amato tanto, è un luogo dell'anima... difficile da trovare».
D'altro canto, «l'arte comincia dove non c'è l'arte, nasce altrove».
Ma dove?
«Vai oltre te stesso e poi hai l'intuizione, solo dopo, e comunque il 99 per cento dell'arte non comunica niente», chiosa con ironia sapendo di non dire la verità, almeno non completamente. Perché l'arte comunica quello che il fruitore vuole lasciarsi comunicare, e lui questo lo sa bene.
«NON HO MAI LAVORATO»
A che cosa sta lavorando Sangregorio in questi giorni?
«Ma io non ho mai lavorato», dice senza essere snob, con la certezza e la gioia di chi ha potuto dedicare la vita a una passione. E in questo caso non va oltre, un po' geloso della propria quotidianità che noi vorremmo spiare. «Non faccio più niente», dice sorridendo, sapendo anche questa volta di non dire la verità. Per esempio quest'estate, in giardino, si dedicherà ancora alle «Impronte» (le prime furono esposte nel 1994 a Milano e pubblicate in un libro con la prefazione di Enrico Baj), e intanto è concentrato sulla figura ancestrale del Mugnaio per un progetto che sta portando avanti dal 1978 in Val Vigezzo (un museo in un mulino a Malesco), ma ogni mugnaio che
disegna o scolpisce non lo soddisfa, sta ancora cercandone l'anima da restituire all'arte. Il piano sotto della sua casa è ingombro di opere, tavoli pieni di idee ancora da realizzare, disegni sparsi (circa 1.800), alloggiati in stanze dove ci sono anche il ferro da stiro e la dispensa. La vita normale, quella che non ci racconta, fatta di tagliatelle a pranzo e un riposino pomeridiano, come scopriamo per caso. In un angolo, accanto a un "rabdomante", c'è anche una sua "statua" dalle sembianze umane, una delle prime, fatta nel '46 con stucco e Vinavil (che allora era una novità).
«Ho cercato di liberarmene nei miei vari traslochi, ma mi segue sempre, alla fine mi ci sono abituato»; sembra mummificata, offre riparo a qualche ragno, sta lì a ricordare gli esordi. Altre opere sono nel suo vero studio, una casetta in giardino dove non si entra perché c'è molto disordine. Ma i suoi
due capolavori, secondo lui, sono: «Unitamente col vento», che accoglie e saluta gli ospiti lungo il vialetto di casa, e «Vento freddo» ('65), una scultura più piccola in legno tulipifero, conservata in una stanza.
I CRITICI
Molti critici hanno speso belle parole per lui, qualcuno l'ha definito l'ultimo degli scultori...
«La mia, credo, è una strana storia. Ho 83 anni, sono ancora vivo, Modigliani è morto a 37... È vero che sono l'ultimo degli scultori, la scultura ormai è emigrata in un territorio sconosciuto».
E lui invece che cosa ha cercato nelle sue grandi sculture, quelle che l'hanno reso famoso?
«Degli incastri di spazio e tempo, ho cercato la quinta dimensione, oltre la staticità e oltre la gravità, ho cercato di aggregare delle forme e dei materiali diversi, come il vetro e il marmo, in uno spazio libero».
CITTADINO ONORARIO
Ora Sangregorio è anche cittadino onorario di Somma Lombardo, una cosa che lo allieta, dice, «perché mio nonno, che non ho mai conosciuto, era un Piantanida di Somma, e mia mamma era una Piantanida: è nata nel 1900 a Gallarate e morta nel 1998».
E la doppia donazione al Comune di Somma e alla Fondazione dei Visconti di San Vito nasce dal desiderio di lasciare un dono alla città, ma nel contempo di trovare una casa per le sue opere più grandi e importanti.
«Mi fa piacere sapere che qualcuno si occuperà delle mie sculture visto che le Fondazioni sono irrevocabili. Penso a un futuro che non mi potrà mai appartenere, ma ci penso con molto attaccamento alla vita».
Una piccola "summa" di opere affidate ai posteri?
«Toccherà a chi verrà dopo di me pensare se le mie opere saranno del mio tempo, per me sono fuori dal tempo della storia dell'arte, ma quanti pensano di essere fuori dagli schemi e poi non lo sono...».
Lo decideranno i sommesi, che già un Papa nella loro storia lo avevano avuto (Gregorio XIV, nato a Somma nel 1535). E ora hanno un Sangregorio.
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