IL PROCESSO
Albizzate, il cornicione killer e la crepa
Ingegnere di 97 anni sotto accusa: il crollo provocò la morte di una mamma e di due dei suoi figli. Parola al perito

Trent’anni fa - secondo l’accusa - progettò la trave-gronda che il 24 giugno del 2020, in via Marconi, crollò uccidendo una mamma e due dei suoi tre figli. Oggi l’ingegnere ha novantasette anni ed è a processo per crollo colposo, omicidio colposo plurimo e lesioni davanti al giudice Rossella Ferrazzi. «Come può un uomo di questa età affrontare un procedimento penale?» si è domandato l’avvocato Cesare Cicorella, che di Cesare Gallazzi è difensore. E ieri, producendo un certificato del medico curante, in aula ha chiesto una perizia sulla capacità dell’imputato di stare in giudizio. Né il pubblico ministero Nadia Calcaterra né le parti civili si sono opposti, quindi l’udienza è stata rinviata ad aprile per conferire l’incarico a uno specialista o, essendo un uomo con plurime patologie, a un collegio di specialisti.
LA DIFESA
«Questa vicenda ha avuto un forte impatto emotivo sul mio assistito, sono morte tre persone ed è sconvolgente. Vista la fragilità sua e la delicatezza dell’episodio non avrebbe nemmeno la forza di reggere le dinamiche processuali. Ma, come spieghiamo da quel giorno, Gallazzi non ha alcuna responsabilità nella realizzazione del cornicione che pensava fosse assicurato con il cemento armato. Non era lui il direttore dei lavori quando venne costruito il manufatto, non sono riconducibili a lui gli errori di costruzione», puntualizza l’avvocato Cicorella.
LA CREPA
«Forse si sarebbe dovuto intervenire all’istante alla comparsa della crepa, mettendo in sicurezza l’area», riflette senza «voler attribuire colpe a nessuno, sia chiaro». Perché comunque il fato ci mise del suo quel pomeriggio. A parere della procura invece, Gallazzi, nel settembre del 1991, quando in ballo c’era la ristrutturazione dell’ex cotonificio, avrebbe dichiarato falsamente l’assenza di opere in cemento armato che avrebbero comportato la denuncia all’allora Genio civile e l’espletamento burocratico conseguente e - stando al capo di imputazione - avrebbe progettato quel cornicione di 71 metri senza garantirne la stabilità, ossia senza aggiungere un contrappeso. Non avrebbe neppure supervisionato adeguatamente, diretto e magari corretto la realizzazione di quella pensilina.
IL PATTEGGIAMENTO
Oltre al novantasettenne, a processo era finito anche il proprietario dell’ex Bellora, Giovanni Antonio Colombo. Difeso dall’avvocato Luca Abbiati, l’imprenditore ha patteggiato un anno e dieci mesi. Secondo l’accusa dal 2012 avrebbe omesso di adottare le opportune cautele davanti a vistose fessurazioni del capannone, indicative di instabilità della trave gronda e davanti a deformazioni strutturali tra cui lo scollamento del paramento in mattoni sormontante la tettoia in calcestruzzo. Colombo prima del patteggiamento aveva risarcito gli eredi e tutti gli aventi diritto fino all’ultimo centesimo e allestito un mega scivolo dei sogni nella scuola dell’infanzia di via Campagna, in memoria di Fouzia Taoufiq e dei suoi figli Soulayman, cinque anni e Yakut Hannach, di appena quattordici mesi.
© Riproduzione Riservata