IL CONCERTO
Allevi, Estasi da Piano Solo
Il pianista filosofo incanta i milleduecento fedelissimi al Teatro di Varese
Un tempio più che un teatro e milleduecento adepti più che spettatori, attenti a cogliere lo spirito delle note innalzate dal tocco magico di Giovanni Allevi dal suo pianoforte.
Stasera, venerdì 12 aprile, al Teatro di piazza Repubblica s’è potuto ben comprendere il senso di titoli quali Estasi Tour, ovvero del titolo della tournée che il pianista ascolano aveva dovuto interrompere in seguito alla malattia che l’aveva fiaccato e che l’avrebbe dovuto portare a Varese lo scorso dicembre, e Piano Solo, il tour che sta portando la sua musica nelle principale piazze italiane.
A Varese il primo atto di fede è che sono stati tanti, tra i milleduecento dell’ennesimo sold out del Teatro di AD Management (il prossimo sarà la sera di domani, sabato 13 aprile, con Davide Van de Sfroos) a conservare il biglietto del concerto rinviato.
Hanno fatto benissimo.
L’esibizione del «pianista filosofo» è stata intensa come una preghiera accorata eppure marezzata di sentimenti cangianti, umanissimi, come in un processo alchemico che dal piombo del dolore conduca all’oro della grazia. Un processo che riguarda tutti, ciascuno a modo proprio e che grazie allo specchio melodico intessuto da Allevi, diventa rivelatore.
Il compositore - che ha compiuto 55 anni lo scorso 9 aprile - ha strappato ovazioni sin dall’entrata in scena: «Ma questo è un applauso da fine concerto!» ha esclamato mentre dalla galleria una voce di donna ha gridato «Giovanni, sei una forza!».
Tra gli spettatori c’era Enrica Ciccarelli Mormone, pianista valtellinese, nota sulle scene internazionali e alla quale Allevi ha dedicato un ringraziamento particolare.
«Non potendo contare sul mio corpo - ha detto il Maestro, afflitto da una forma di mieloma - suonerò con tutta l’anima».
Ovvero a modo suo: a cominciare da Aria, che da sola basterebbe a spiegare quel gesto ricorrente alla fine di ogni suo brano, col quale ripiega le braccia come un airone sazio dell’incontro col cielo, e passando da Qui Rosa, omaggio alla traslitterazione hegeliana del carpe diem («qui è la rosa, qui danza»), a Kiss me Again (un omaggio al ritorno alla vicinanza dei corpi dopo la pandemia) e a Monolocale 7.30 A.M. (composta a 28 anni, quando, approdato a Milano dalla natìa Ascoli Piceno, s’arrabattava da cameriere e condivideva l’autoclausura domestica col suo pianoforte).
Il pubblico, di ogni età - tanti i bambini e i ragazzi presenti, tra i pochissimi che hanno potuto incontrarlo alla fine dello spettacolo - ha colto la difficoltà del maestro alla precisione dovuta «a qualche sostanza antidolorifica che mi hanno dato ma che mi toglie ancor più il controllo della mia malattia» e l’ha coccolato a colpi di battimani. Come quando ha presentato Tomorrow («la mia condizione mi permette di vivere un presente allargato - ha detto Allevi -. Non posso spingermi troppo più in là ma mi godo il presente, come il magnifico incontro con tutti voi»).
È poi seguita l’esecuzione di No More Tears, concepita dopo il distacco della retina dell’occhio sinistro nel mezzo d’un concerto in Giappone: «I medici m’hanno rimproverato perché se avessi interrotto quell’esibizione forse oggi potrei vedere quel che combina la mia mano sinistra».
Dal Giappone al Giappone ma con un salto indietro fino ai suoi 17 anni, quando Allevi mise in partitura Japan: «Allora ero un disadattato totale... Non che che oggi».
E giù applausi prima e dopo l’esecuzione di un brano acerbo nell’ordito ma reso tridimensionale dall’esperienza dell’uomo prim’ancora di quella del musicista.
Un passaggio ai guai ambientali, ovvero al disequilibrio del Pianeta, è stata Our Future, che Allevi ha composto per la Cop 26 di Glasgow (era il 2021) e che si rifà alla lectio junghiana sulla perdita del contatto con la Natura, cioè del selvatico che contiene in sé il divino.
Il «pianista filosofo» - com’è stato a buona ragione definito - ha sciorinato con la sua innata grazia principi universali, trasfusi, nota per nota, nelle sue intuizioni musicali.
Toccante il racconto dell’incontro con don Mauro Bartolini, morto in un incidente stradale a 39 anni e suo «unico amico».
«Era un periodo in cui non avevo fiducia né nella trascendenza, né nei giovani, al contrario di lui. Ne sortirono confronti che mi hanno arricchito, anche perché lui aveva discusso una tesi sul Tristano e Isotta di Wagner. Quand’è mancato è come se mi avesse ceduto il testimone della fede nella trascendenza e della fiducia nei giovani e per questo gli ho dedicato Ti Scrivo. Per ringraziarlo, proseguendo un dialogo in forma di monologo musicale».
Di tutt’altro registro - quasi stravinskiano - l’ossimoro della scaletta che ha proposto L’Idea, nata da un curioso episodio capitato al Maestro nella Metro milanese: «Alla signora che m’era seduta accanto, si ruppe una sporta piena di mele, che rotolarono ovunque. Le chiesi se avesse notato quella meravigliosa dissonanza e lei mi rispose: sì, ma se m’aiuta è meglio».
Basterebbe questo per spiegare il candore di un musicista che emoziona perché non teme mai di emozionarsi. Come quando, nel 1995, fu chiamato al suo primo lavoro di compositore per Le Troiane di Euripide, che andavano in scena al Teatro di Siracusa: «Pensai al passo del piccolo Astianatte (figlio di Ettore e Andromaca, gettato giù dalle torri di Troia conquistata dagli Achei, ndr) e fu così che nacque Luna».
Dallo sguardo del poeta a quello del filosofo il passo è pressoché nullo: si tratta non solo di visioni ma d’interpretazione della vita. Ecco allora la dedica allo Stoicismo, al carretto che traina il cagnolino di Epitteto e al «non ti affannare a raccogliere più di quel che ti serve» di Seneca ma anche di Marco Aurelio, padre di Commodo «quello - ha sorriso Allevi ammiccando al pubblico, a quel punto interamente suo - del Gladiatore».
Così è fiorita Go With The Flow, ovvero segui il flusso. Meglio se in compagnia di un angelo custode - così ha spiccato il volo sul pentagramma My Angel - che non sia una mera voce interiore come sostiene Igor Sibaldi ma piuttosto un consigliere che sta al livello più basso delle sfere celesti ma più vicino al cammino dell’uomo. Nonostante qualche teologo sudamericano stia provando a negare questa presenza, io credo nell’angelo, magari anche in forma di un lare, un antenato».
Probabilmente la figura che deve aver ispirato Allevi al suo primo attacco di panico: «Ero in ambulanza e guardavo in alto. Così m’è arrivata l’ispirazione di una melodia in Sol bemolle maggiore, tonalità di per sé grave, ma dolcissima. Quando sono stato dimesso, sono corso a casa e ho scritto Panic».
A una sua collega pianista, che in un incidente perse la mano sinistra, Allevi ha invece dedicato Helena, cantata per mano sola, la destra, nella quale il musicista ascolano ha sprigionato tutto il suo talento.
Il miglior preludio a Prendimi, giocato sulla velocità d’un contrappunto scatenato, in cui pare che Allevi insegua se stesso divertendosi come un bimbo dietro una farfalla.
I bis sono stati due. Uno, inevitabile, riferito al punto barca esistenziale del Maestro che sotto braccio alla sua musica è tornato a dare suono alla propria anima, condividendolo (Back To Life); il secondo, scherzoso al limite dell’irriverente, con la rivisitazione rap del Te Deum barocco di Marc-Antoine Charpentier - l’Inno dell’Eurovisione... - che è corso via ritmato dal battito delle mani del pubblico, trasformando il Teatro di piazza Repubblica nel Musikverein viennese, quando, a Capodanno, risuona la Marcia di Radetzky di Strauss padre.
La standing ovation finale è arrivata spontanea come le note che germogliano dalle dita di un compositore capace di portare la musica laddove ha casa. Nel cuore di chi l’ascolta.
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