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Brusa Pasquè: «Aprire lo sguardo per cancellare gli errori del tempo»
La presidente dell’Ordine degli Architetti di Varese: «La tecnica non basta, serve metodo»

Anni Sessanta e Settanta: la spinta a costruire sull’onda lunga del boom economico trovò sulla nostra terra qualche timido ostacolo nella società civile, valga per tutti Italia Nostra, dalle cui battaglie il professor Salvatore Furia prese le mosse per avviare il riconoscimento del Campo dei Fiori quale area protetta regionale che ebbe termine, fra non poche polemiche, all’inizio degli anni Ottanta. Da parte degli enti locali, però, il via libera fu incondizionato o quasi. In quei tempi il piano regolatore del Comune di Varese, città che nel dopoguerra contava circa 50mila abitanti, prevedeva una espansione edilizia quattro volte superiore. Ora che la bufera edilizia è passata si cerca di salvare il salvabile introducendo in legislazione il concetto di rigenerazione urbana.
Architetto Elena Brusa Pasquè, di cosa si tratta esattamente?
«Per rigenerazione urbana s’intende il processo di conferire una nuova vita a un luogo urbano dismesso. Per capire come si fa bisogna partire da punti virtuosi perché più facile sia comprendere il metodo invece della soluzione del progetto, ogni volta diverso». «In sintesi – spiega Brusa Pasquè – valutare la possibilità di trasferire le volumetrie in aree più adatte migliorando il territorio e non solo l’area dismessa; considerare l’inserimento di ecosistemi sostenibili nelle aree dismesse facendo rete con altre operazioni immobiliari; attivare i concorsi di progetto per una progettazione flessibile e adattiva; studiare i progetti attraverso studi pluridisciplinari non solo tecnici, ma anche umanistici che possano “aprire lo sguardo alla Proust”; coinvolgere nel progetto e nella giuria culture e saperi diversi; valutare il partenariato pubblico e privato; mettere in rete personalità pubbliche e private, università, comunità e attivare il primo passo che è l’ascolto del territorio».
Anche così il discorso complesso: vien da dire che è più facile spazzare via un’area “naturale” che ricostruirla...
«È noto – continua l’architetto – che quando un territorio si depaupera e si trasforma, perdendo valore in una inesorabile e triste decadenza, il suo rilancio e la sua valorizzazione sono più difficili e dipendono da una serie di fattori complessi che non sono solo dipendenti dalle volontà dei singoli, ma richiedono un grande sforzo collettivo. Sotto la lente d’ingrandimento soprattutto le aree industriali dismesse».
E soprattutto le vecchie aree industriali, che in provincia di Varese abbondano, rappresentano un problema sotto diversi punti di vista
«I per i vuoti urbani che creano, quasi sempre problematici per la sicurezza, per il degrado sociale e ambientale – spiega Brusa Pasquè –. Il tema del degrado ha diverse sfaccettature e investire nella riqualificazione significa trasformare un problema in un punto di forza, ovvero restituire al territorio nuovi spazi di valore. Ma occorre investire nel pensiero pluridisciplinare prima ancora che nel progetto architettonico, perché le trasformazioni territoriali sono spesso irreversibili, cambiano le città e l’economia e tutti ne pagano le conseguenze».
Il rischio? Quello di trasformare un’opportunità in un nuovo problema.
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