Barbara Zanetti: nel mio romanzo (non) cercate Varese

Un corpo affiora dal lago di Varese. È quello di Marianne, rumena, prima badante poi colf a casa del commendator Rolla, proprietario di un'azienda di minuteria metallica e di una villa nascosta su una delle colline più belle e inaccessibili della città. Sembra un suicidio e con trenta righe e una foto il caso è affrontato e liquidato dal giornale locale in cui lavora Angela Borghi, cronista dinamica e istintiva. Ma suicidio non è e Angela, una massa di capelli riccioluti mobili come antenne, ne capta il mistero e comincia, da sola, testarda, a fare ricerche e domande.
Chi sulla stessa morte indaga per professione è il suo compagno, il commissario Davide Giorgetti, rude, di poche parole, affascinante. Dopo le prime resistenze di lui, i movimenti dei due attorno alla vicenda si fanno complementari finché il «gioco» non diventa troppo pericoloso anche per una temeraria come Angela, che si ritrova in mezzo a un giro altolocato di droga e prostituzione.
È un giallo intrigante e saporito «L'icona del lago» di Barbara Zanetti, giornalista della «Prealpina» alla sua prima prova narrativa. La struttura, il climax che cresce e il ritmo dei dialoghi raccontano anni di scrittura e di mestiere e ne fanno una lettura disinvolta e piacevole. Ma sarà soprattutto l'ambientazione varesina a incuriosire e far chiacchierare. Chi sarà davvero Alfredo Castellucci, primario di una delle tre chirurgie dell'ospedale cittadino? E la sua annoiata moglie, rassegnata a vivere in una prigione dorata? E Michele Rollo, il tipico figlio di papà? E la povera Marianne è esistita davvero? E che cosa ci dice la paura dell'albanese Hana?
Barbara, ma proprio a Varese dovevi ambientare una vicenda tanto scottante?
«Volevo che la mia prima prova narrativa fosse credibile. Per esserlo dovevo raccontare ciò che conosco bene, ciò che vivo, il mio lavoro. Tutto è iniziato quando ero a casa in maternità: il piccolino dormiva solo di giorno, mio marito passava le notti a lavorare al computer. I miei ritmi circadiani si sono sballati e così ho acceso il Pc anch'io. Ho ritrovato una pagina scritta nel giugno del 2009 a Milano Marittima, durante una vacanza di famiglia. Da lì sono partita e in tre mesi ho scritto il libro lavorando un paio d'ore tutte le notti. Per me è stata una valvola di sfogo e un'ancora di salvezza».
Ti devi essere appassionata parecchio.
«Sì, ma non tanto alla storia in sé. Lo so anch'io che non è originale, che ha un intreccio su cui un buon giallista potrebbe avere qalcosa da ridire. Il mio obiettivo era raccontare uno spaccato di città che sono convinta esista, ma che da cronista non ho mai descritto o avuto l'occasione di indagare».
Il bello è stato soprattutto trasformarsi da cronista in romanziera.
«Sì, perché ho potuto dare libero sfogo alla fantasia. E questo tengo a sottolinearlo: nel mio giallo non c'è nulla e nessuno di vero. So che scatterà il gioco dell'immedesimazione, della caccia al personaggio camuffato, ma Varese c'è e non c'è, anche i luoghi sono finti, a parte la Schiranna e il Sacro Monte. Varese c'è nella misura in cui potrebbe esserci qualcunque altra città di provincia, con le sue ombre dietro la lucida apparenza, il suo male agire dietro il ben pensare. Tra l'altro ho dovuto fare non pochi sforzi su me stessa per scardinare quelle regole di verità e verifica dei fatti che nel mio lavoro di cronista ho sempre rispettato e che nel libro sono state sostituite da invenzione e ironia. Il luminare di cui parlo, per essere chiari, esiste solo nella mia testa. Mi serviva a simboleggiare un certo tipo di borghesia di cui Varese, peraltro, non ha l'esclusiva».
Però il giro di prostituzione altolocata che tu narri non è così inverosimile.
«Non saprei. Semplicemente mi è piaciuto accendere i riflettori sul mondo delle colf e delle badanti straniere, un universo poco conosciuto, anzi, volutamente ignorato, e con il quale una certa Varese non ha fatto ancora i conti. Le considerano servitù, come dice un personaggio del mio libro, scarti umani, con loro hanno rapporti utilitaristici, e invece sono persone. È così semplice e così poco accettato. Io stessa come giornalista ho raramente affrontato l'argomento perché, come si dice, non fa notizia».
Alla fine la città viene fuori cupa e cattiva.
«Io amo Varese, ci apparteniamo nel bene e nel male. Ma il libro è uno spaccato di quella parte che si prende troppo sul serio, di quella élite che ho usato come testa d'ariete per lanciare piccoli semi di riflessione in un universo di fantasia. La questione dell'immigrazione è serissima, così come quella della prostituzione delle regazze dell'Est che in Italia trovano destini più o meno infelici. Senza voler dare lezioni di etica o morale a nessuno, perché ho scritto solo un noir, mi è piaciuto immergere la mia protagonista e il suo compagno poliziotto in un mondo che esiste, a Varese come altrove, e i cui contorni ancora sfuggono alla maggioranza di noi. Un mondo saturo di dolore e ingiustizie che non dovrebbero passare sotto silenzio».
Angela e Davide, i tuoi protagonisti, si amano e si tormentano.
«A un certo punto ho pensato che ci volesse un po' di sentimento. Per questo ho aggiunto gli appuntamenti notturni, le lettere che lei scrive a lui, un pizzico di erotismo. Questa è stata la parte più fluida da scrivere, la più divertente, ma lo dico e lo ripeterò: io non sono Angela».
Dunque con quelle autoreggenti blu tu non c'entri nulla.
«Ma no. Sono divertimenti letterari. Spezie».
E pensi che ti credano.
«Certo: parola di cronista».
La presentazione sabato 13 ottobre a Varese
La prima uscita in pubblico del libro di Barbara Zanetti, «L'icona del lago», è sabato 13 alle ore 17.30 a Varese, al Salone Estense di via Sacco. All'incontro, coordinato dal giornalista del «Corriere della Sera» Franco Tettamanti, partecipano i rappresentanti di tre categorie professionali ampiamente citate nel giallo. Da Barbara e dal suo editore, Pietro Macchione, sono stati invitati per meglio analizzare i mondi sociali ed economici che il libro esplora con la libertà dell'invenzione. Si tratta di: Walter Bergamaschi, ex direttore generale dell'ospedale di Varese e ora dg del Niguarda di Milano; Franco Novati, primo dirigente della polizia di Stato e del commissariato di Busto Arsizio; Diego Pisati, giornalista della «Prealpina» responsabile della sezione spettacoli. Accompagnamento musicale di Luca Fraula (piano), Chiara Brusa (flauto), Giorgia Tajè (voce).
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