IL CASO
Busto Arsizio, elemosina online: web diviso
Madre in difficoltà commuove il popolo social, dure critiche all’altro “povero”

C’è qualcosa di strano e affascinante nei piccoli teatri dei gruppi Facebook di Busto Arsizio. Succede tra sabato 26 e domenica 27 luglio: due post anonimi formulano due richieste analoghe su una stessa chat cittadina, ottenendo reazioni opposte da parte degli utenti. Uno spaccato sociale prima che “social”, capace di puntare i riflettori sul fragile confine fra empatia e sospetto, in un microcosmo – quello della Busto online, specchio in miniatura della città vera – dove la fiducia si distribuisce a colpi di pancia anziché con la testa.
DUE RICHIESTE DI AIUTO
Gli autori dei due appelli – ammettendo che si tratti di due persone distinte, e non di uno stesso bisognoso o opportunista se non addirittura di un truffatore – si rivolgono ai membri del gruppo chiedendo entrambi «un piccolo aiuto». Il primo intervento, risalente a sabato sera, è firmato da una mamma che si dichiara in difficoltà economiche e che parla dell’imminente compleanno di sua figlia piccola per motivare la richiesta di un aiuto. Non servono frasi a effetto, bastano le parole «figlia» e «compleanno» per toccare il cuore del gruppo: il post diventa in breve tempo un piccolo falò di assistenza e interessamento reciproco, con almeno una decina di utenti che, senza fare troppe domande, invitano la donna a mettersi d’accordo con loro privatamente.
Poco importa che il racconto dietro al post sia vero e inventato: è già in sé rivelatore che sia bastata quella storia, senza prove né nomi, per attivare una rete spontanea di aiuti da parte di perfetti sconosciuti.
IL SECONDO POST: SONO NEI GUAI
Il secondo post risale al giorno dopo, domenica 27: a chiedere un aiuto economico un’altra persona, ma sempre mantenendo l’anonimato. Questa volta, però, non ci sono richieste di contribuire a un regalo, non c’è il toccante pretesto di un figlio a cui fare una sorpresa, né la cornice di un’infanzia minacciata dalla povertà. Chi scrive in questo caso – sempre con la massima gentilezza e umiltà – spiega di essere nei guai e di aver bisogno di una mano. Una sorta di elemosina online? Si può anche metterla così. Ma all’incontro con un mendicante per strada, di solito, le reazioni sono di due tipi: o si cerca di aiutarlo o si passa oltre. Ecco invece che sul gruppo Facebook si solleva un coro di commenti che sanno di rimprovero: chi lo esorta a rivolgersi ai servizi sociali anziché scrivere sui social, chi ironizza sul fatto di essere lui stesso in difficoltà, senza per questo aver chiesto soldi agli altri. Ma cosa cambia, in fondo, fra i due post? Anonimi entrambi, entrambi potenziali truffatori.
PIAZZA SOCIAL O TRIBUNALE?
La presunta mamma ottiene subito fiducia, al contrario di un disperato che non ha trovato le parole giuste. Facebook come piazza e tribunale, dove non conta la verità, ma lo storytelling: quello che si costruisce in pochi secondi, leggendo due righe sullo schermo.
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