DIAGNOSI IN RITARDO
«Non tocca ai medici pagare»
Busto Arsizio, la Corte dei Conti si oppone alla richiesta dei parenti di una paziente deceduta. Sarà l’Asst a risarcirli

Morì a causa di un tumore al seno che, se diagnosticato per tempo, con molte probabilità, non le sarebbe stato fatale. Per questo l’Azienda Ospedaliera di Busto Arsizio è stata condannata dal Tribunale civile a versare 420 mila euro agli eredi della sfortunata paziente.
La Corte dei Conti (in primo grado e in appello) ha invece escluso ogni responsabilità da parte dei cinque camici bianchi che, ciascuno per la sua parte, hanno seguito la paziente poi deceduta.
A rendere se possibile ancora più contraddittorio l’esito opposto delle due sentenze è il fatto che sia il procedimento civile sia quello contabile, per trarre le loro conclusioni, hanno preso le mosse dalla stessa consulenza tecnica d’ufficio. Nel primo caso, però, è stata letta in chiave sfavorevole al nosocomio bustocco; nel secondo è stata utilizzata per respingere la tesi della Procura della Corte dei Conti in base alla quale le condotte dei camici bianchi sarebbero state caratterizzate da «grave negligenza e imperizia». Condotte che di fatto, non avendo individuato per tempo il tumore maligno, avrebbero cagionato un ritardo diagnostico di 18 mesi del carcinoma e una diminuzione dell’aspettativa di vita dal 90 al 40%.
Soldi alla famiglia
L’ospedale è stato condannato dai giudici civili a risarcire gli eredi per la ritardata diagnosi, ma per la Corte dei Conti lo stesso ospedale non può vantare nessun diritto a rivalersi sui propri medici (dalla radiologa all’anatomopatologo), alcuni dei quali difesi nel procedimento davanti alla Corte dei conti, tra gli altri, dagli avvocati Aldo ed Elena Travi e Romolo De Matteo del foro di Busto Arsizio.
La vicenda risale al settembre 2003. La donna si era recata all’ospedale di Busto per sottoporsi a una mammografia, il cui esito aveva evidenziato un incremento delle microcalcificazioni rispetto all’esame precedente. Nonostante ciò, i medici bustocchi non prescrissero ulteriori accertamenti. Nel frattempo, però, la paziente si sottopose a ulteriori controlli all’Humanitas di Rozzano. Purtroppo per lei, gli esami evidenziarono la presenza di «alcuni aggregati di elementi epiteliali con pleomorfismo ed atipie sospette per malignità».
Controllo istologico
Una diagnosi che indusse l’anatomopatologo della struttura privata a consigliare il controllo istologico della lesione e un immediato intervento chirurgico. E così fu. Purtroppo, era troppo tardi. Perché la Corte dei Conti ha escluso la responsabilità professionale dei singoli medici? Perché «il ritardo sembra più il frutto di alcune criticità rilevabili in tutte le fasi del percorso d’equipe curante della paziente che non attribuibile all’errore di un singolo specialista» e perché «il caso era insidioso e la diagnosi complessa». Ulteriore ragionamento dei giudici contabili: «Il ritardo diagnostico non sembra ascrivibile a gravi elementi di imprudenza, negligenza, imperizia dei singoli sanitari, bensì a un percorso imperfetto». Come il doppio percorso diagnostico pubblico-privato seguito dalla paziente.
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