AL LABORATORIO TOMA
Sono le ossa di Emanuela Orlandi?
Verifiche volute dalla famiglia sui resti trovati nel cimitero teutonico vaticano

Un mistero lungo 37 anni, un giallo vaticano che potrebbe essere risolto a Busto Arsizio: è il caso di Emanuela Orlandi, la quindicenne scomparsa a Roma il 22 giugno 1983.
La famiglia non si arrende all’archiviazione disposta dalla Santa Sede dell’indagine sulle ossa rinvenute l’anno scorso nel cimitero teutonico del Pontificio: a quei reperti vogliono dare una data, un’età, un genere. E sarà il laboratorio Toma di via Ferrer a svolgere le delicate e sofisticate analisi che potrebbero rivelare l’identità della ragazza. Se ne occuperà direttamente il genetista Giorgio Portera, nominato consulente dagli Orlandi con la collega Laura Donato e stretto collaboratore del Toma stesso.
Lì, nel cuore di Sacconago, sono stati portati 58 residui scelti - sulla base di criteri scientifici - tra i ventisei sacconi neri riempiti coi resti dell’ossario.
Il medico legale vaticano Giovanni Arcudi ha stabilito che si tratta di ossa vecchie e sulla base di questa diagnosi solo visiva il promotore di giustizia Gian Piero Milano ha chiesto e ottenuto dal giudice unico l’archiviazione.
Portera - un passato da ufficiale dei carabinieri del Ris e consulente nei delitti di Yara Gambirasio e Marilena Re, per citarne alcuni - ha serie perplessità sull’approccio scientifico di quella datazione a colpo d’occhio. «Non è possibile, per l’antropologia forense, escludere nella maniera più categorica una datazione basandosi solo su una analisi ottica dei reperti», fa infatti notare l’avvocato Laura Sgrò che ha presentato l’opposizione e ottenuto la facoltà di svolgere accertamenti privati sui reperti custoditi dalla gendarmeria, mettendo a disposizione di Portera la metà di ognuno di essi. Alcuni frammenti verranno inviati al Cedad dell’Università del Salento, a Lecce, che si occuperà della misurazione con il metodo del carbonio 14.
A Busto intanto si procederà con la frantumazione, la polverizzazione e la decalcificazione delle altre porzioni, così da poter estrarre il dna. Gli esiti si avranno in autunno.
Il giorno della scomparsa, Emanuela Orlandi uscì dalla lezione di musica alle 18.45, dieci minuti prima del solito. Da una cabina telefonica chiamò la sorella maggiore Federica, dicendo che avrebbe fatto tardi poiché l’autobus non passava e raccontandole che un uomo l’aveva fermata per strada proponendole un lavoro di volantinaggio nell’ambito di una sfilata di moda, retribuito con 370.000 lire. Fu l’ultimo contatto della quindicenne con il resto del mondo. Negli anni le indagini hanno imboccato qualsiasi pista: quella della banda della Magliana e dei suoi rapporti con la Santa Sede, del terrorismo internazionale, degli intrighi dello Ior, dell’attentato di Alì Agca. Il Papa durante l’Angelus si rivolse ai rapitori della figlia del commesso della prefettura della Casa Pontificia, ufficializzando quindi la tesi del sequestro di persona. L’anno scorso la telefonata anonima che indicava il cimitero teutonico. Chissà se Pietro Orlandi, un fratello che non si dà pace, troverà risposte a Busto.
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