LA TESTIMONE
Busto: «Vi racconto mio padre, il Giusto dottor Aladar»
Anna Maria Habermann incontra i ragazzi
Non deve essere facile, per Anna Maria Habermann, riaprire periodicamente il baule dei ricordi e ripercorrere la storia della sua famiglia. Ma è decisamente evidente nelle sue parole l’urgenza di condividere al sua storia: perché non sia dimenticata, anzi sia di esempio per gli altri.
Splendida ottantenne, la dottoressa Habermann (medico ortopedico, pianista e scrittrice) ha incontrato ieri alla sala Tramogge dei Molini Marzoli 150 studenti di terza dell’Istituto Ezio Crespi, accolta dalla dirigente scolastica Armida Truppi e dall’assessore alle politiche educative Daniela Cerana.
«Non conoscevo il passato della mia famiglia - ha confessato Anna Maria Habermann - finché non ho svuotato l’appartamento dei miei genitori per venderlo e ho trovato lettere e documenti». Da queste carte, con pazienza e tenacia, ha ricostruito la vita del papà Aladar Habermann e della mamma Rosa De Molli.
Ebreo ungherese, medico, Aladar arriva a Busto Arsizio nel 1933. Nel suo ambulatorio in piazza San Giovanni però entrano poche persone, è straniero e nessuno lo conosce; si offre allora di lavorare gratuitamente in ospedale, per curare i pazienti indigenti. Rosa, farmacista, gli insegna l’italiano e lo fa convertire al cattolicesimo, successivamente i due si sposano. Da quel momento attorno agli Habermann cresce e si sviluppa una fitta rete di relazioni per proteggere i perseguitati, una rete che diventa sempre più ampia: chi ha ricevuto il bene a sua volta lo restituisce.
«A casa nostra, Palazzo Frangi, in piazza della stazione - ricorda Anna Maria - ospitavamo persone sconosciute, che restavano qualche giorno. Non c’era da mangiare se non quello che si recuperava con le tessere annonarie, ma per fortuna Natalina, una contadina, procurava uova, latte e verdure». La piccola Habermann, a sua insaputa, partecipava anche alle azioni delle staffette partigiane: la madre la faceva uscire insieme a lei con un vestitino imbottito di volantini. Le storie legate a quel periodo sono tante e incredibili. Giuseppe Cavina, archivista di Busto intercettò un mandato di arresto per Aladar perché clandestino (non era più ungherese ma non ancora italiano) e lo fece sparire.
Persone in pericolo vennero ricoverate in ospedale e nella clinica Bertapelle con false diagnosi e poi fatte scappare. Con l’aiuto di Habermann, che li difese “a suon di bastonate”, Padre Santino, guardiano al convento di Dongo, liberò una cinquantina di partigiani dalle carceri di Como. Andrea Dénes, giornalista, collaboratore dei tedeschi in veste di traduttore, in debito con il dottor Habermann che aveva curato suo figlio, iniziò a fare il doppiogioco e realizzò un falso lasciapassare per il medico. In una lettera di una 92enne si legge che Aladar Habermann fece avere tre borsoni di cibo a una famiglia fascista ridotta in miseria, perché «la carità è al di sopra di ogni ideologia politica». «Mio padre ha seguito ciò che gli dettava il cuore - le parole di Anna Maria - ha perseguito umanità e giustizia, ma nella massima clandestinità». Azioni che hanno fatto di lui un “Giusto fra le nazioni”. Ma come essere “giusti” oggi ? «Aiutando e difendendo le persone discriminate, magari anche tra i compagni di scuola».
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