CONDANNA CONFERMATA
La birra, poi la violenza
Aggredì ragazza nel bagno di un bar a Carbonate: 3 anni e 4 mesi

Quello che è successo in un locale di Carbonate la sera del 22 febbraio di tre anni fa, una giovane di Saronno, oggi 27enne, se lo ricorderà per sempre. Una serata che si è tramutata in un incubo.
Già. Perché, a leggere la denuncia della vittima raccolta a suo tempo in ospedale a Tradate, sarebbe stata violentata all’interno di quel locale. Una violenza sessuale negata dal presunto aggressore, un 46enne di Carbonate, ma sulla quale non ha avuto dubbi il gup del Tribunale di Como Carlo Cecchetti che, al termine di un giudizio con rito abbreviato, lo ha condannato alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione e a risarcire 30mila euro alla parte offesa. Il corposo ricorso proposto dai difensori, gli avvocati Matteo Pelli e Daniele Sussman Steinberg, è stato respinto dalla prima Corte d’Appello di Milano che, ieri, lunedì 3 maggio, ha confermato il verdetto di primo grado.
Tuttavia, i due legali hanno già preannunciato ricorso in Cassazione mancando, a detta loro, la prova (leggi un certificato ospedaliero) dalla quale si possa evincere che la vittima abbia realmente subito violenza sessuale.
Sempre a detta della difesa, a rendere più complicate le cose ci sarebbe un lungo «non ricordo» della vittima che lascerebbe scoperta oltre un’ora e 50 minuti di quella serata. In cui la ragazza avrebbe consumato un rapporto occasionale (consenziente) con un avventore, ma del quale avrebbe omesso l’accaduto in sede di testimonianza. Di qui la sua presunta scarsa credibilità.
In sede di requisitoria, il sostituto procuratore generale Massimo Gaballo ha ricostruito la serata della giovane, che si era recata nel locale con un’amica. Maria (il nome è di fantasia) aveva scambiato anche qualche chiacchiera en passant con l’uomo dietro il bancone che non si era qualificato come il titolare, bensì come uno stagista. Ed è stato proprio quest’ultimo a offrire a lei e all’amica una pinta di birra. Già al primo sorso, Maria ha dichiarato di aver avuto una sensazione di malessere. Niente a che fare con una normale ubriachezza. «Forse mi è stato versato qualcosa dentro la birra», ha ipotizzato la vittima per spiegare la mancanza di ricordi per una parte della serata. Precisato che della cosiddetta droga dello stupro non è stata trovata traccia a casa dell’imputato e, per questo, non è stata nemmeno contestata dalla Procura, la saronnese non si era sentita bene e, in orario di chiusura, si era ritrovata ad avere necessità di andare in bagno. Proprio qui sarebbe scattata la trappola. Essendo il locale ormai vuoto, l’uomo l’avrebbe raggiunta, immobilizzata e infine abusata.
Anche l’amica di Maria ha confermato il drammatico epilogo. È stata lei a sentire le urla e le richieste di aiuto dell’amica, lei a soccorrerla. Non è stata un’impresa semplice: mentre cercava di aprire la porta del bagno per entrare l’aggressore avrebbe cercato in tutti i modi di impedirglielo. Aggressore poi fuggito via e riconosciuto in un secondo tempo tramite i profili social.
© Riproduzione Riservata