IL GIALLO
Uva non è stato ucciso. I giudici: ecco perché
Forze dell’ordine assolte, motivazioni della sentenza. Ma la famiglia non ci sta: «Tutto sbagliato, si va in Cassazione»

Le ragioni addotte dalla Corte d’Assise d’appello di Milano per assolvere nella formula più ampia i due carabinieri e i sei poliziotti sotto processo per l’omicidio e il sequestro di Giuseppe Uva sono condensate nelle ultime pagine delle motivazioni della sentenza.
Alla voce “considerazioni conclusive”, i giudici hanno smontato o, quantomeno, hanno provato a farlo, il teorema accusatorio coltivato in appello da Massimo Gaballo, il magistrato che aveva puntato l’indice contro le forze dell’ordine, a suo dire responsabili della fine del 43enne varesino, deceduto il 13 giugno di 10 anni fa all’ospedale di Circolo. «Così come per l’amico Alberto Bigioggero, non ci fu nessun indebito trattenimento in caserma di Uva e la durata del legittimo trattenimento fu assai limitata e quasi interamente monitorata da due medici», hanno messo subito in chiaro i giudici. Per poi proseguire: «Non vi è prova di alcun atto aggressivo posto in essere dagli imputati nel frangente se non di quello, molto limitato, strettamente finalizzato a vincere la resistenza di Uva nella fase di strada. Al contrario sono risultate provate le plurime condotte autolesive che Uva pose in essere. Il solo significativo e prolungato contenimento disposto nei confronti di Uva fu quello sanitario, reso necessario dalle sue condizioni e avvallato dai due medici che disposero il trattamento sanitario obbligatorio». E a ribadire il concetto che i carabinieri, «chiamati a gestire un doveroso intervento sul territorio», fecero il loro dovere nel pieno del rispetto delle regole: «Nessuna illegittima manomissione fu volontariamente effettuata ai danni di Uva». In altre parole: non ci fu nessun arresto illegale e nemmeno percosse da parte dei carabinieri (e dei poliziotti), «la cui condotta fu doverosa ed esigibile». Altro nodo spinoso: lo stress o le lesioni da stress come possibili concause del decesso di Uva evocate dalla Procura generale come conseguenza delle condotte di Arma e polizia. Per la Corte d’assise d’appello «rimane impossibile individuare con la dovuta certezza che cosa abbia fatto scatenare questa condizione in un soggetto affetto da una certa e gravissima malformazione cardiaca (prolasso mitrale con fibrosi sostitutiva dei muscoli papillari) e che si era volontariamente posto in condizioni di elevato rischio assumendo smodate quantità di alcol». Di più: «Se si parla di stress, occorre tenere conto anche di altri fattori stressogeni. E non si può nemmeno sostenere che se i carabinieri avessero lasciato perdere Uva quella sera e fatto finta di non accorgersi della strada bloccata, questi non sarebbe ugualmente morto. La morte per aritmia da defibrillazione ventricolare avviene nella maggior parte dei casi in condizioni di riposo». La Corte ha attribuito un giudizio di inattendibilità a i tre testi che hanno riferito delle presunte percosse subite da Uva.
Motivazioni totalmente rigettate dalla parte civile, l’avvocato Fabio Ambrosetti patrono (con il collega Alberto Zanzi) delle due sorelle di Uva: «Dopo 10 anni pensavamo di averle viste già tutte. Tuttavia, la ricostruzione offerta dalla Corte d’Assise d’Appellodi Milano ci fa rabbia perché sbagliata in fatto e in diritto». «Non si può privare della libertà personale un cittadino al di fuori della legge, né portarlo in caserma per identificarlo quando lo si conosce già», attacca Ambrosetti, affrontando l’assoluzione dall’accusa di sequestro di persona di carabinieri e agenti. «Anche lo scoglio dell’omicidio preterintenzionale è stato superato con motivazioni senza senso» aggiunge. Dunque si ricorrerà in Cassazione. «Lo si può fare ai soli fini civilistici, ma lo faremo sicuramente entro il 15 ottobre»
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