GIUSTIZI
Cassazione bis per l’indennizzo chiesto da Binda
Nuova udienza a Roma, sul tavolo tre ricorsi. Il 57enne di Brebbia è già stato assolto in via definitiva per l’omicidio di Lidia Macchi

Due ordinanze della quinta Corte d’Appello di Milano hanno dato in entrambi i casi ragione a Stefano Binda e alla sua richiesta di indennizzo per ingiusta detenzione. Tutte e due le volte, però, Procura Generale di Milano e Avvocatura dello Stato hanno impugnato la decisione, presentando ricorso in Cassazione contro l’okay al risarcimento a favore del brebbiese, sottoposto tra il gennaio del 2016 e il luglio del 2019 ad oltre tre anni e mezzo di carcerazione preventiva con l’accusa di essere stato lui ad uccidere Lidia Macchi. Accusa dalla quale è stato per altro assolto con formula piena e in via definitiva.
LA NUOVA UDIENZA
In settimana si è tenuta la nuova udienza della Suprema Corte, che si è svolta in camera di consiglio davanti ai giudici della terza sezione. A Roma sono giunti ben tre ricorsi. Quelli di Procura Generale e Avvocatura dello Stato, tutte e due volti a cancellare l’ultima decisione della Corte d’Appello ambrosiana che ha stabilito che Binda ha diritto a vedersi riconoscere un risarcimento di 212 mila euro; ma anche quello del legale di Binda, l’avvocato Patrizia Esposito, secondo il quale il ristoro previsto sarebbe insufficiente e andrebbe invece assegnato nella misura massima. Oggetto del contenzioso eventuali profili di colpa attribuibili o meno alla condotta di Binda dopo che fu emessa l’ordinanza di custodia cautelare per omicidio della studentessa di Giurisprudenza di Casbeno avvenuto a Cittiglio il 5 gennaio del 1987. La Corte di Cassazione scioglierà la riserva nelle prossime settimane.
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