LA PRIMA INTERVISTA
Comerio, il bustocco che ama Varese
L'erede della stirpe di imprenditori racconta la sua ascesa in Univa e si racconta: così scriveva il 14 giugno Lombardia Oggi

Chissà come l’ha presa il «baoleus», nomignolo bustocco di Melchiorre Comerio,
venditore di formaggi nella Lombardia garibaldina, sapendo che il suo discendente Riccardo ha
accettato di guidare per quattro anni l’Unione industriali della provincia di Varese. L’ha considerata una perdita di tempo, ragionando con la testa di uomo tutto casa e bottega, come s’usava nella sua epoca, o l’ha valutata un’opportunità, pensando con i criteri di oggi, agli orizzonti che si aprono davanti a un imprenditore mettendo piede nel salotto buono di Confindustria?
Il trisnipote, classe 1963, non ha dubbi e pensa che non ne avrebbe nemmeno l’antenato: non capita tutti i giorni un laticlavio di tale portata, come minimo si cresce, come massimo si fa incetta di esperienze e - perché no? - di benemerenze. «In famiglia abbiamo sempre creduto nell’associazionismo», dice il neo-presidente Riccardo, quinta generazione dei Comerio di Busto Arsizio, amministratore delegato di un’industria storica, nata tessile e approdata alla plastica e alla gomma: costruisce, tra l’altro, impianti per la produzione di pneumatici, l’olimpo del settore sta nel suo portafoglio.
E aggiunge una curiosità: «Quando le associazioni erano due, Assind e Ubi, le aziende della Ercole Comerio erano iscritte a Varese anche se orgogliosamente bustocche. Avvenuta l’unificazione, non c’è stato bisogno di traslocare. Almeno nel settore industriale le contrapposizioni tra le due città più impor-
tanti della provincia sono morte e sepolte da tempo».
Conosciamolo da vicino Riccardo Comerio che da qualche giorno è il successore, nell’ordine, di Giovanni Brugnoli, Michele Graglia, Alberto Ribolla, Marino Vago, Paolo Lamberti, Giorgio Fossa, su su fino ad Antonio Bulgheroni e Flavio Sottrici. Sposato, un figlio di 17 anni, fiero di essersi diplomato ragioniere all’istituto Tosi di Busto, autentica sorgente di formazione professionale, laureato alla Statale in Scienze economiche, cavaliere della Repubblica, subacqueo e golfista, incarichi nelle giunte della Camera di commercio a Varese e Unioncamere. Nell’azienda di famiglia Riccardo è venuto dopo Ercole, Giuseppe, Melchiorre, Rinaldo. Lo affianca il fratello Giuseppe.
Scommettiamo che quando le dicevano da bambino: che cosa vuoi fare da grande? La risposta era obbligata? «Obbligata no. Diciamo suggerita. Ho cominciato a lavorare alla Ercole Comerio quando ancora studiavo. Ero ragioniere, uscito da un istituto di grandi tradizioni. Avevano bisogno di un conta-
bile e mi chiamarono».
E non s’è più mosso... «Già. Un’esperienza dopo l’altra e crescendo di passione per questo lavoro. Mi chiedono che cosa fa oggi l’amministratore delegato di un’azienda guidata da una famiglia. Rispondo così: lo psicologo e il tecnico. Si spazia tra campi diversi».
Come sta in Italia il capitalismo familiare? «È alle prese con l’internazionalizzazione, passaggio necessario e molto costoso. Si conferma, per le piccole e medie aziende, il modello di sviluppo più ac-
creditato, quello che offre migliori garanzie. Soffre non poco sulla strada della competitività per i motivi che conosciamo».
Il laccio del fisco, la ghigliottina delle burocrazia, il costo del lavoro...
«Mettiamoci pure l’instabilità politica. Giovanni Brugnoli consegnandomi il timone, ha fatto il
suo bilancio: quattro anni di presidenza, quattro governi. In Germania c’è sempre la Merkel».
Per questo l’Europa ci scopre germanizzata?
«Sì, ma non è colpa dei tedeschi la debolezza degli altri partner».
Russia all’offensiva, Grecia sull’orlo del baratro, populismo anti-euro. Non si può dire che l’ideale comunitario sia in salute. Lei che idea s’è fatta?
«Non ne ho una che possa apparire originale. Sono convinto che tornare indietro,alla svalutazione competitiva della lira, ad esempio, sia impossibile e che minacciare di uscire dalla moneta unica sia un azzardo. Ma se qualcuno viene con un progetto scritto e mi spiega che cosa accadrebbe all’indomani della decomposizione del quadro europeo sono disposto al ascoltarlo».
Le multinazionali spopolano, in Italia fanno shopping di marchi. Dobbiamo più respingerle o più coccolarle?
«Più coccolarle, a patto che investano davvero nel nostro Paese».
Marchionne non è stato carino con Confindustria: ha dimostrato che se ne può fare a meno e ha rilanciato la Fiat...
«Già, la Fiat, un’azienda grandissima che ha tutto in casa. Ma per imprese piccole e medie, il
vero tessuto economico del Paese, i gruppi di coesione, i corpi intermedi avranno sempre un
ruolo fondamentale. Fare la guerra alla parti sociali non giova a nessuno».
L’occupazione va meglio, così dicono gli osservatori. E Renzi si gonfia: merito del Jobs act. Alla «Ercole Comerio» avete ricominciato ad assumere?
«Non si assume per una legge, ma perché lo suggerisce il mercato o la fiducia. Se l’occupazione si schioda dall’immobilismo è un buon segno che non significa: c’è la ripresa, evviva».
Busto con Varese for ever o nell’area metropolitana con Milano?
«Con Varese, per tradizione e interesse. Ma quando si dice Varese non si può intendere il territo-
rio statico che coincide strettamente con confini della vecchia provincia. Noi abbiamo un’unità produttiva a Busto e parliamo con la Camera di Commercio di Varese, una a Legnano e per gli adempimenti dobbiamo rivolgerci agli uffici di Milano. E’ sul concetto di territorio che bisogna essere innovativi».
Che Univa ha in mente Riccardo Comerio?
«Ho in mente continuità e qualche accorgimento. Uno dei vicepresidenti sarà una donna. Non era mai successo».
Nome e cognome?
«Sarei irrispettoso se li diffondessi prima all’esterno. Dico solo che è una laureata alla nostra
università, la Liuc. Mi sembra significativo».
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