L’INTERVISTA
Cruciani fa la doccia. E lotta con noi
Il giornalista torna a Varese con il suo spettacolo "Via Crux"

«Ti richiamo. Dammi il tempo di fare una doccia».
Basterebbe già questo a poter vantare lo scoop del decennio nell’intervista a Giuseppe Cruciani, tra i condottieri più politically incorrect nella crociata contro il pensiero unico dilagante.
Quello che ogni giorno ammanta d’ipocrisia la morale comune.
Tempo un quarto d’ora e rieccolo, Giuseppe Cruciani, che, dieci mesi dopo, domenica 13 aprile, alle 17, tornerà protagonista al Teatro di Varese col suo Via Crux, rimodellato nel contesto di un fortunatissimo tour, che già ha toccato la Città Giardino e che si chiuderà tra un mese.
Allora non è vero che Cruciani non si lava?
«Mannò. È che dopo quattro giorni ho dovuto fare i conti con la mia innata idiosincrasia all’acqua. C’è un limite a tutto».
A tutto, fuorché alla contestazione?
«A tutto, fuorché alla possibilità di poter sempre dire e scrivere ciò che si pensa anche quando il Pensiero Unico incombe e lo fa con violenza».
Parliamone.
«Hai presente Difendere l’indifendibile di Walter Block? È la difesa, messa nero su bianco quasi mezzo secolo fa, del pensiero libertario. Block spiega benissimo quel che oggi è diventata un’esigenza: difendere le proprie idee».
Ma ce ne sono ancora, di idee?
«Certo che sì. Solo che tanti hanno paura di manifestarle per timore di sanzioni: che sia il giudizio dei più asserviti al politically correct o a certe norme penali, fa lo stesso».
Parliamo di idee correnti. Quali le più stimolanti?
«Quelle di Marco Rizzo e di Roberto Vannacci, qui da noi. Ma a livello mondiale l’effetto dirompente di Donald Trump che ha fatto saltare il banco del perbenismo».
Personaggi, cioè protagonisti della scena pubblica. Quella dei teatri, un tempo riservata alla prosa d’autore, se n’è popolata negli ultimi anni: psicanalisti, filosofi, fisici, giornalisti, critici d’arte. Un filone che dà risultati al botteghino.
«È cambiato il linguaggio. Oggi vince quello legato al brand dei social perché viviamo in un mondo virtuale e credo sia importante verificare quanta sostanza ci sia dietro la forma dei comportamenti. L’unico modo è quello di affrontare la carnalità del pubblico a costo d’incappare nell’incomprensione di qualcuno. E il pubblico apprezza questi momenti d’incontro che poi sono una verifica sulla sostanza».
Ti senti un po’ Savonarola 2.0?
«No, per niente. A me continua a piacere la gnocca. Che poi questa è stata l’affermazione che ha fatto la fortuna della Zanzara, su Radio 24. Questione di coerenza. Il cui corollario è stato che le uniche bombe che mi piacciono sono quelle che stanno sul petto d’una donna».
Si arrabbierà la comunità Lgbtq+.
«Mai stato contro l’amore libero, né tanto meno ho mai considerato il sesso un motivo discriminante della dignità umana: ognuno è libero di essere quello che vuole. Ma da qui a imporre un sistema etico, che poi etico non è, buono per tutti, ce ne passa: questa è l’agenda perbenista che va contrastata».
E i mass media? Proprio vero che seguano alla lettera quest’agenda?
«Anche in questo caso, ognuno è libero di fare il suo gioco. Si dice che in Italia l’informazione sia da terzo mondo. Falso. Siamo al trionfo assoluto della libertà d’espressione: tra giornali e social c’è l’imbarazzo della scelta. Siamo all’Era d’Oro della comunicazione».
Non c’è il rischio che emergano i contenuti border line, innescando reazioni a catena incontrollabili?
«No. Prendiamo Rita De Crescenzo. Perché negare la parola a chi ha sbagliato e ha pagato quando non solo può dare il proprio contributo alla libertà d’espressione e soprattutto può offrire la propria esperienza umana in cui specchiarsi, prima di tranciare giudizi fondati sulla sola ipocrisia? Il sogno etico non esiste. Esiste l’uomo che non è perfetto. E chi lo vuole rendere tale è sempre stato, è e sarà un pericolo. Perché la perfezione non è di questo mondo».
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