IN TRIBUNALE
Via WhatsApp foto hard di 12enni, condannato varesino
Le minorenni pubblicavano, ragazzi più grandi sotto processo

C’era anche un ragazzo residente in un comune tra il Lago di Varese e il Maggiore, vent’anni all’epoca dei fatti e origini marocchine, dentro una chat di WhatsApp dove ragazzine dai 12 ai 15 anni scambiavano senza problemi foto hard. Il giovane è finito a processo davanti al giudice Marcello Buffa, sotto accusa per due reati: quello di adescamento di minorenni e quello di detenzione di materiale pedopornografico. Ieri, giovedì 23 febbraio, l’ultima udienza: il pubblico ministero Antonia Rombolà ha chiesto la condanna dell’imputato per entrambi i capi d’imputazione a un anno e sei mesi di reclusione. Ma la condanna, che è arrivata, è stata molto meno pesante, anche perché il processo si è svolto con il rito abbreviato, e cioè allo stato degli atti e con la garanzia dello sconto di pena di un terzo. Il giovane, oggi ventisettenne, difeso dall’avvocato milanese Paolo Carrino, è stato così assolto dall’accusa di adescamento di minori, perché il fatto non costituisce reato, ed è stato condannato a due mesi e venti giorni di reclusione, e a 1.400 euro di multa, con i doppi benefici di legge, dato il rito e la concessione delle attenuanti generiche per l’incensuratezza del soggetto.
LA TESI DIFENSIVA
Un verdetto che ha dato in una certa misura ragione al difensore, che aveva parlato di comportamento senz’altro deprecabile del suo cliente, ma anche di una limitata rilevanza penale di quanto fatto da questo ragazzo in particolare. Che non aveva organizzato la chat, ma si era “limitato” a partecipare alle “discussioni” a cui seguiva da parte di tante ragazzine l’invio di foto pornografiche.
L’INDAGINE
La vicenda ha coinvolto diverse Procure italiane, dato che ha visto una quindicina di indagati, ognuno dei quali è poi finito a processo nel Tribunale competente per territorio, ma ebbe inizio a Bologna, quando una madre esaminò il cellulare della figlia e scoprì una chat WhatsApp dai contenuti sessuali. Alla scoperta seguì una denuncia e poi un’indagine della Squadra Mobile che ha permesso di appurare che giovanissime dai 12 ai 15 anni si mostravano senza vestiti a ragazzi più grandi, che a loro volta in qualche caso postavano foto hard. Il tutto sarebbe avvenuto non per fini economici, ma per semplice esibizionismo o in presenza di situazione di fragilità.
Molto probabilmente nel caso del varesino la decisione assolutoria del giudice sull’adescamento di minorenni è stata determinata dal fatto che il Codice penale prevede atti «finalizzati a carpire la fiducia del minore mediante artifici, lusinghe o minacce», che in questo caso non ci sarebbero stati. L’imputato non creò infatti la chat e al suo interno fu un semplice spettatore.
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