L’ESTORSIONE
Chiedevano tangenti in cambio del lavoro: condannati
Padre e figlio appartenenti alla comunità bengalese di Gallarate stangati anche in appello

Costretti a pagare il pizzo per poter lavorare come operai in una ditta di manutenzione autostradale.
In questa brutta storia di estorsione tutta interna alla comunità bengalese di Gallarate i “cattivi” sono due, padre e figlio, con quest’ultimo, dipendente di una ditta di Olgiate Olona preposto alla selezione del personale tra i suoi connazionali, decritto dalla Procura di Busto Arsizio come regista di un sistema di sfruttamento davvero esecrabile. Non a caso, Emran Howlader, trent’anni, difeso dall’avvocato Ermanno Talamone era stato condannato in abbreviato dal gup di Busto Piera Bossi a quattro anni di reclusione, 3 mila euro di multa più a risarcire 2 mila euro di provvisionale a tutte le dodici parti offese costituite e rappresentate in giudizio dall’avvocato Stefano Besani. E se la sua pena è stata confermata integralmente dai giudici della terza corte d’appello di Milano, è andata un po’ meglio al padre, Hazi, cinquantacinque anni, difeso dall’avvocato Alberto Talamone: sì la condanna per estorsione a due anni e quattro mesi è stata anche in questo caso confermata, ma la corte ha deciso che dovrà risarcire solo uno dei dodici bengalesi che pretendevano da lui 2 mila euro.
Tuttavia, rispetto a quando i due vennero arrestati a seguito di un’indagine del commissariato di polizia di Gallarate nel novembre del 2019 - guidato all’epoca dal dirigente Fabio Mondora - il processo ha ridimensionato, e non di poco, il carico di accuse. All’inizio, quando erano scattati i ceppi, seguiti subito dopo dalla concessione degli arresti domiciliari, l’estorsione imputata al figlio risultava essere declinata su tre distinte condotte.
AVIDITA’ INCONTENIBILE
D’altronde, l’avidità dell’impiegato bengalese della Intergeos di Olgiate sembrava incontenibile. Seguendo i suoi diktat (e non evidentemente quelli del datore di lavoro, che non è nemmeno finito sotto processo), gli aspiranti operai avventizi dovevano sganciare dai 300 ai mille euro per essere assunti con regolare contratto a tempo determinato; all’incirca 250 euro per ottenere false dichiarazioni di ospitalità in due abitazioni di Gallarate riconducibili ai due imputati; e, una volta regolarizzati, dovevano versare all’incirca il 40 per cento della retribuzione e, in caso di rifiuto, incombeva su di loro la minaccia di non essere retribuiti o di non ottenere più il rinnovo del contratto di lavoro.
In primo grado Emran H. è stato assolto sia per le pretese richieste estorsive ai fini di assunzione, sia per la totalità (ad eccezione di una) delle dichiarazioni di ospitalità. L’unico capo d’incolpazione rimasto in piedi è stato quello relativo alle richieste di parte dello stipendio pena la rescissione del contratto. Nel mirino le denunce circostanziate di due operai, uno dei quali ha inchiodato alle sue responsabilità anche Hazi H. per essersi fatto pagare il pizzo per ottenere una dichiarazione di ospitalità nella sua abitazione, di fatto conditio sine qua non per ottenere il posto di lavoro.
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