L’EMERGENZA
«Avevano la chiave della sala d’attesa»
Clochard al Sant’Antonio Abate, Sempre più allarme: scende in campo Exodus
C’è l’ormai famosa famigliola che dormiva sotto la scala che porta all’ambulatorio di Senologia e si è spostata in zona Medicina nucleare.
Hanno visto nei giorni scorsi un altro clochard infilarsi vicino al locale caldaie. E una coppia che si metteva in una sala d’attesa. Si è scoperto che i due avevano anche la chiave e dormivano con coperte e lenzuola dell’ospedale. Storie - purtroppo - ordinarie al Sant’Antonio Abate.
STRETTA COLLABORAZIONE
Da qualche giorno stanno toccando con mano la realtà degli invisibili che si rifugiano all’ospedale gli operatori di Exodus in virtù dell’accordo siglato con l’azienda socio sanitaria territoriale (Asst) che li coinvolge in stretta relazione con chi già opera nella struttura, come i City Angels, gli assistenti sociali e, naturalmente, le forze dell’ordine. «Innanzitutto vogliamo ricostruire la situazione esistente», spiegano dalla sede di via Mameli.
Poi partirà l’azione che sarà studiata «in strettissima collaborazione con tutti gli enti e le associazione coinvolte». In questo come in altri casi la parola d’ordine è sempre la stessa: fare rete.
REFRATTARI AL RECUPERO
«Non si tratta di avere a che fare con semplici clochard, cioè con persone che hanno deciso di vivere a modo loro, ma, più spesso, con soggetti polidipendenti».
Difficile poter trattare questi soggetti: «Nella maggior parte dei casi non si riescono a catalogare e si sono dimostrati refrattari a qualsiasi percorso di recupero», spiega il responsabile della cooperativa 4Exodus Roberto Sartori.
DORMITORIO A BASSA SOGLIA
Mai come in questi casi bisogna sporcarsi le mani per ottenere dei risultati. Ciò significa andare lì e coltivare quel flebile rapporto che può portare le persone con disagi a fare piccoli ma significativi passi avanti. «Abbiamo notato grande attenzione della direzione dell’ospedale nell’affrontare questo problema. C’è la volontà di trovare una soluzione».
L’arrivo di Exodus - con la lunga esperienza maturata negli anni - dimostra che nessuno sta sottovalutando l’emergenza. In un ospedale, il paziente-utente e i suoi familiari, oltre che i dipendenti, devono sentirsi sicuri e in un luogo igienico. Per i clochard, dunque, non c’è posto. Unica soluzione, per loro, sarebbe un dormitorio a bassissima soglia. Più bassa della Casa di Francesco. Ma, per ora, non se ne parla.
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