IL CASO
Gallarate: la moglie? Meglio il carcere
Si era costituito a Bollate, il 37enne torna ai domiciliari. Il magistrato: «Li merita»
C’è chi si inventerebbe qualsiasi malattia, facendo carte false, per uscire dal carcere. E chi, pur avendo serie patologie che lo rendono incompatibile con la detenzione, torna a bussare al portone chiedendo di essere riaccolto.
È la storia del trentasettenne pluripregiucato, che dopo essere fuggito da casa esasperato dalla convivente, se ne era pentito amaramente perché, checché se ne dica, stare dietro le sbarre è molto peggio che subire la tirannia di una donna. Un mese fa il magistrato di sorveglianza di Varese gli aveva quindi sospeso la misura alternativa del differimento pena e considerando che ne avrebbe avuto fino al 2028 non era una prospettiva rosea. Ci ha pensato l’avvocato Ermanno Talamone a sbrogliare la matassa: da ieri il trentasettenne è di nuovo ai domiciliari. I motivi si leggono nell’ordinanza depositata martedì, con una premessa: la compagna è andata a vivere altrove. «Il detenuto non ha commesso gravi violazioni alle prescrizioni e ha anzi proseguito con impegno l’attività lavorativa intrapresa e il programma terapeutico con il Sert», si legge. Il collegio presieduto dal giudice Roberta Cossia ha riconosciuto che la decisione di costituirsi a Bollate fosse scaturita «dai rapporti alquanto problematici con la ex compagna e dalle criticità emerse all’interno del nucleo familiare» e per questo ha ritenuto opportuno dare una chance al pregiudicato, condannato in via definitiva a nove anni, un mese e quattordici giorni per un cumulo di reati che vanno dall’associazione a delinquere alla detenzione di armi, passando per traffico di stupefacenti, rapine e falsificazione di banconote.
Il 31 marzo 2020, ventitré giorni dopo il lockdown, venne scarcerato in virtù della cardiopatia mitralica e delle possibili conseguenze in caso di infezione da covid (che nelle carceri si era diffuso rapidamente). Nel 2022 la misura alternativa venne confermata sulla scorta della gravità del quadro clinico e grazie alla «condotta costantemente regolare» e l’avviamento, «grazie al supporto della fondazione Enaip e della cooperativa Intrecci, di un percorso di inclusione sociale con un tirocinio formativo alla cooperativa Officina che lo ha assunto con regolare contratto». L’esempio virtuoso della rieducazione e riabilitazione, che ci si aspetterebbe da ogni percorso detentivo. Se non che ci si è messa di mezzo la ex: tossicodipendente, alcolizzata, molesta. Le tensioni domestiche rischiavano di rovinare tutto ciò che di buono l’uomo era riuscito a fare dopo la galera. Così il 27 febbraio fece la valigia e tornò a Bollate. All’udienza davanti alla sorveglianza spiegò di aver rotto i benefici «per disperazione» e si disse pentito per quel colpo di testa ben sapendo che ne avrebbe risentito il suo reinserimento. I giudici l’hanno graziato.
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