LA SCOMPARSA
Gigi Riva, il mito nato a Leggiuno
La doppietta segnata al Besozzo: il suo nome per la prima volta sulla Prealpina

Il 12 dicembre 1960, su una delle pagine dedicate dalla Prealpina del Lunedì al calcio dilettantistico, spiccava l’impresa del Laveno Mombello: 6-3 al Besozzo con doppietta d’un sedicenne che di nome fa Luigi, come i Re di Francia e per cognome ha ciò che descrive l‘acqua che si fa terra: Riva.
La sua è stata una storia tratta dalla spiaggetta di Arolo e trasfigurata in leggenda alla Marina piccola di Cagliari. Una storia in cui l’acqua di cui sono fatte le lacrime e il sudore, parla riempendo il vuoto che, da ieri sera, lunedì 22 gennaio, Giggiriva da Leggiuno ha lasciato come un’ombra nella luce della ribalta: il marchio di fabbrica di Rombo di Tuono come lo ribattezzò Giuan Brera fu Carlo buonanima, quattr’anni dopo averlo giubilato (al termine dell’esordio in Nazionale, contro l’Ungheria, il 27 giugno 1965) come «retorico eccesso mancino».
Con queste parole, qualche anno fa, raccontavamo lo splendido documentario che Federico Buffa aveva dedicato a Gigi Riva, scomparso nella serata di ieri.
Quella sua opera sul mancino di Leggiuno - cui seguirà la pièce teatrale sull’incontro con Fabrizio De André -, raccontava, oltreché la bandiera dello scudettato Cagliari di Manlio Scopigno, l’incarnazione stessa dell’orgoglio sardo ma anche quel fiotto di luce tra le infinite onde che fondono Lago Maggiore e Mar Tirreno.
La figura del calciatore lasciava spazio in quella poesia fatta filmato a quella d‘un bimbo di 9 anni arrampicato sul fico del giardino di casa, con sotto mamma Edis in lacrime, che lo implorava di scendere, perché suo figlio doveva prendere il pullman che l’avrebbe portato al collegio di Viggiù. Qui - parole di Riva - nel rigore imposto dai preti, «per mangiare si doveva prima pregare».
Quest’esperienza triennale fu durissima per lui, avvezzo a prati e boschi più che al rigore liturgico, perché arrivò subito dopo la morte di papà Ugo, sopravvissuto a due guerre mondiali con tanto di medaglia di bronzo al valore ma morto sul lavoro nel ‘53.
Del padre, Giggiriva serberà il tratto dell’irriducibile, del coraggioso che sul pallone arriva prima di testa che con la gamba ma anche il segno schivo dell’essenziale. Al rientro dal collegio, nel ‘56, anche mamma Edis diventerà un abisso da piangere e accanto a Gigi resterà la sorella maggiore, Fausta, che nell’ultima traversata l’ha preceduto poco tempo fa. Colei che lo traghettò dal melanconico molo di Arolo, dove lo zio Ubaldo gli aveva insegnato a remare anche controcorrente, fino al litorale assolato e ventoso di Cagliari.
Qui la storia del ragazzetto del Laveno Mombello che all’esordio stese il Besozzo, del giovane di belle speranze che segnò cinque reti in 22 presenze a Legnano, del bomber che fece grande il Cagliari dal 1963 al ‘76 (164 reti in 315 partite) rifiutando i milioni dei grandi club per amore della Sardegna, nonché dell’imbattuto primo marcatore della Nazionale (35 reti in 42 incontri) diventerà leggenda. E lo sarà ben prima della serata di ieri, quando Rombo di Tuono, nel suo ultimo respiro terreno, s’è fatto largo nell’unico colore che poteva competere nel suo cuore col rossoblù: l’azzurro. Quello in cui le imprese del campione si fanno raccontare nello specchio di mare o di lago, dalla sua Sardegna a un alberello di fico, a pochi passi dalla riva di Arolo.
Due pagine dedicate alla scomparsa di Gigi Riva sulla Prealpina in edicola martedì 23 gennaio
© Riproduzione Riservata