L'IDEA
Il pianoforte rivoluzionario. Made in Varese
Il bercandeon sembra una fisarmonica: strumento reinventato da Caniato e Bernasconi
Dieci minuti a mezzogiorno. Nella saletta di prove di una piccola azienda di fisarmoniche a Vercelli echeggiano sei note di una breve scala da si a sol. Il momento è emozionante. Un nuovo strumento musicale - singolare ibrido tra pianoforte e armonica - emette il suo primo suono. Come il primo vagito di un bebé, l’accordo è subito accompagnato da un rapido scambio di sguardi interrogativi tra i presenti.
Ci sono i due padri della creatura: Stefano Caniato, un musicista che ha abitato a lungo a Caldè sul Lago Maggiore prima di trasferirsi a Mantova, e Fiorenzo Bernasconi, insegnante e scrittore ticinese nato a Varese e residente sul Ceresio, a Brusimpiano. Attorno, Giovanni e gli altri tecnici della Teknofisa, l’azienda dove il progetto è diventato realtà nel corso di una gestazione durata quasi quattro anni.
«Il progresso nasce spesso dal delirio di un sognatore - riassume Bernasconi la filosofia dell’impresa - che però ce la mette tutta a realizzare il suo sogno».
Su uno scaffale si trova ancora, impolverato, il modellino in legno di uno dei 64 tasti dai quali prende vita il Bercandeon (questo è il nome dello strumento, un altro ibrido, composto con le prime lettere dei cognomi degli inventori e la parola "accordeon", sinonimo di fisarmonica).
«Questo l’ho fatto proprio io, all’inizio, e mi sono anche tagliato un dito. Un dolore terribile, ma confesso che sono stati i momenti più belli». Come le doglie? In realtà, il momento più bello è questo, l’attimo di suspence all’emissione del primo grappolo di note dal neonato appeso al collo di Caniato, che fa scorrere le dita sulle due tastiere simmetriche disposte sulle ance ai lati del mantice centrale.
Al primo sguardo di un profano, l’aspetto dello strumento dice poco: due tastiere invece di una con la classica bottoniera a sinistra. Tutto nero, anche i tasti tutti scuri, è persino un po’ cupo. Mentre loro lo ammirano con il cuore che batte d’amore, si affaccia alla mente la vecchia battuta napoletana dello scarrafone. Sbagliamo: il bello del Bercandeon deve ancora arrivare, con la serigrafia, le scritte, i pulsanti dei registri. E’ come ogni neonato, ovvio che non abbia ancora proprio tutto per presentarsi in pubblico in cerca di applausi. Ma gli organi interni, quelli che contano e che soprattutto lo rendono geneticamente diverso da ogni altro strumento, ci sono tutti e funzionano.
La novità dell’invenzione si nasconde proprio lì, nell’intreccio di leve, tiranti, martelletti che insieme alla doppia tastiera offrono ai pianisti la possibilità che non hanno mai avuto: suonare dove il pianoforte non c’è. Ovvero di portare con sé in una borsa - peso: una dozzina di chili - il congegno capace di offrire all’agilità delle dita, all’ampiezza del repertorio, alla ricchezza di accordi, ciò che nessuna fisarmonica consente. E s’intende: nessuna elettronica.
Niente schede di memoria, niente spinotti e amplificatori, non servono prese elettriche. Il Bercandeon è forse l’ultimo strumento musicale a nascere come una volta: da un progetto disegnato su un foglio di carta, da modelli intagliati nel legno, creato infine sui banconi di una ditta di artigianato d’alta classe che esporta in tutta Europa.
«Siamo venuti qui - racconta ancora Bernasconi - perché hanno subito creduto nel nostro progetto e si sono messi a nostra disposizione, sia pure nei tempi lasciati liberi dalla produzione normale e dalle richieste di un mercato che, a giudicare dalla quantità di ordini, non sembra risentire della crisi economica».
A proposito, quanto è costato il Bercandeon numero 1 (ce ne sarà anche presto un numero 2, s’intende)? Meno di cinquemila euro: più costoso di una media fisarmonica, più economico di un buon pianoforte. Il lavoro non è ancora finito, occorre qualche giorno per completare l’inserimento di voci e registri e aggiungere le decorazioni.
Ma ci siamo. Per la prima volta, Caniato siede su uno sgabello e infila le braccia nelle cinghie saldate poco prima alla cassa dopo alcune prove di bilanciamento. Il mantice si apre, la mano corre più volte sui tasti a destra in basso, dove sono collocate le "voci" di prova. Dopo i primi attimi, la tensione si scioglie con il sorriso del musicista nel pronunciare il verdetto che ci si aspettava: «Credo che andrà bene».
Il suono assomiglia molto a quello di una fisarmonica. Né potrebbe essere diverso, visto che i principali ingredienti sono gli stessi: a parte la posizione delle mani e dei polsi, più naturale e diritta, meno piegata rispetto a quando si suona la fisarmica, l’impressione è di un parente stretto. Errore, suggestione.
«Il familiare più stretto, ma non certo un fratello, è l’armonium», nota Caniato. «Naturalmente con molti vantaggi in più», rimarca l’altro padre del Bercandeon, soddisfatto della prova: «Mi pare un suono ben equilibrato, sia in apertura che in chiusura del mantice, le note non subiscono variazioni».
«Ottima anche la maneggevolezza», rileva Caniato. Un risultato importante, esplicito fin nell’idea iniziale di creare uno strumento ergonomico, meno faticoso di una fisarmonica. Come un pianoforte, appunto. Ma quasi in formato tascabile.
Il primo vagito è piaciuto, presto il Bercandeon comincerà il suo cammino vero, prove, aggiustamenti, altre prove e ancora prove. Quindi, gli toccherà l’esame che conta: il giudizio degli altri esecutori e infine del pubblico. Scriverà un capitolo nuovo nella storia degli strumenti musicali o resterà soltanto un capriccio, il parto della fantasia di due professori cinquantenni? Bernasconi e Caniato come Friedrich Buschmann o Adolphe Sax? Staremo a vedere, anzi ad ascoltare.
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